contiene un paio di piccoli e poco
significativi spoiler, roba che si vede al 90% già dal trailer
comunque
Come l'anno scorso
sotto Natale mi reco al cinema Odeon di Milano con il Maurino,
l'esperto tolkeniano di zona, ad assistere al rituale spettacolo
allegorico di Peter Jackson in salsa fantasy. Si guarda l'albero in
Duomo, la galleria Vittorio Emanuele stracolma di gente con pacchi e
pacchettini, si mangia una pizza di lusso. Anno dopo anno questo
piccolo rito assume sempre di più la fragranza tipica degli aromi
delle feste, quasi fosse l'anice stellato che insaporisce alcuni
dolci natalizi. Solo che l'anice stellato deve dare sapore per poi
essere tolto dall'impasto, o rischiate che la pietanza sappia solo di
quello e stomachi un po'. Allo stesso modo lo Hobbit è qualcosa che
va gustato senza soffermarcisi troppo, o si rischia che la pietanza
arrivi un po' indigesta. La sala presenta ovviamente oltre agli ormai
inevitabili occhialini 3d il tanto arcigno sistema di riproduzione in
HF già utilizzato per il primo Hobbit. A una seconda visione mi
pare che sia meno devastante, ma risulta una bizzarria che è tuttora
lontana dal piacermi.
Dove eravamo
rimasti? Gandalf tirava i dadi, faceva +6 e giocava la carta aquile
in posizione di difesa salvando i nani e l'Hobbit dalle grinfie delle
schiere dell'orco (fintissimo) senza una mano, così che i nostri
potessero continuare la loro allegra avventura finalizzata al
risveglio con incazzatura del drago Smaug (più o meno). Nelle ultime
battute del film precedente Bilbo si era casualmente (ma nulla capita
a caso per Tolken) imbattuto nella triste creatura Gollum ed era
riuscito con astuzia a sottrargli il suo prezioso tesoro, un anello
dal potere oscuro in grado di rendere invisibile chi lo indossi. Le
successive tappe del viaggio, per tre abbondanti e ammorbanti ore in
sala, comprendono un bosco oscuro verdeggiante, la solita stronza
magione elfica abitata da stronzi elfi (e qui ritorna lo stronzo
Legolas), una versione triste di Venezia in novembre abitata da
psicotici e infine la montagna del tesoro difesa dal (bellissimo)
drago digitale. Ok, iniziamo con slancio... cheppalle...
Nonostante in rete
c'è gente calva perchè ha con questa pellicola finito di strapparsi
i capelli dalla gioia, il film ripresenta, come la peperonata il
giorno dopo, tutti i più atroci difetti della pellicola precedente.
Salvo le canzoncine, grazie a Dio qui non si canta! Una trama
ampiamente imperfetta, tra una parte iniziale brusca dove dovrebbe
essere centrale, un tizio importante nel libro che si vede tre secondi
in tutto, un capitolo sugli elfi straripante di una noia mortale
(basta soffermarsi su sti elfi, hanno rotto!!! - frase ammorbidita in
ragione del fatto che abbiamo anche lettori giovani -), un capitolo
su Venezia superficiale e stupido fino quasi a essere irritante dove
tutto e tutti appaiono caotici o cretini (prima si detestano
cortesemente, poi si ignorano, poi si aggrediscono, poi complottano,
poi gli eventi precipitano e il tutto avviene in 6 minuti!!! Capisco
che si volesse mettere in questa pellicola il drago, ma aveva più
senso tagliare l'inutile parte sugli elfi rispetto a questa porzione
di trama! Spero che le scene aggiuntive della scontata versione
estesa home video diano maggiore logica agli eventi di questa
parte).
Tredici nani di cui non ci importa nulla e per i quali il
regista non fa nulla per renderli simpatici, salvo tre o quattro.
Gandalf, che per mascherare la sua indole over-powered (o in ragione
di un aumento richiesto dalla controfigura) viene mandato non si sa
dove a non si sa bene fare cosa, (pare si faccia mezza mappa della
terra di mezzo per incontrare il fratello che vive con la cacca
d'uccello in testa e comunicargli pazzesche ovvietà) risulta se
possibile più irritante del solito. Ritorna Legolas, interpretato dal peggiore attore mai nato, Orlando Bloom, che ha per lo meno il pregio
di parlare poco e menare tanto e in modo figo. Lo hobbit di Martin
Freeman (ribadisco la tesi che sia un lontano cugino di Jackson a cui
quest'ultimo doveva dei soldi), di una antipatia quasi tattile e dai
costumi più brutti mai creati per un'opera fantasy (perché invece i
costumi degli Hobbit nella saga dell'anello mi piacevano? Il cugino è
anche costumista?) e per il quale non possiamo che sognare una morte
atroce nella tragica consapevolezza che questa non avverrà (che bello
se Smaug lo facesse a pezzi, lo disponesse a spiedino e ricoprendolo
di salsa Yaki Tori provvedesse a media cottura). E poi perché, per
Thor, i ragni parlano!!!! L'esperto tolkeniano mi dice che in origine
parlano e cantano pure e devo pertanto ringraziare Jackson per aver
tolto i canti. Ma abbiamo anche aspetti della pellicola così belli da
renderla ad ogni modo, proprio come il primo film, qualcosa di
imperdibile.
L'ottima implementazione dell'elfa Tauriel offerta da
Evangelyn Lily, non a caso un personaggio così bello e ben riuscito
da non far parte dell'Hobbit originale (si capisce che Tolken non è
esattamente il mio autore preferito? Beh, vi sbagliate, non di tanto
ma vi sbagliate...). Il sempre affascinante personaggio di Scudo di
quercia, doloroso, ambiguo, rissoso, eroico, accidioso, titanico,
collerico, maestoso, altruista e senza glutine. La lunga ed elaborata
scena della foresta con i ragni con più di un eco dal King Kong di
Jackson, l'adrenalinica corsa sui barili, la maestosa apparizione di
Sauron, le maxi-zuffe naniche ed elfiche perfettamente coreografate
che infarciscono il film in ogni dove, l'ultima stupefacente (per
ritmo, recitazione ed effetti) ora della pellicola con lo scontro con
il drago più bello e spaventoso che cinematograficamente parlando si
ricordi, una sequenza da iscrivere agli annali come quanto di più
figo visto al cinema almeno negli ultimi cinque anni. Laddove La
desolazione di Smaug eccelle, la pellicola si fa di culto ed è
addirittura in grado di ridefinire l'asticella massima
dell'eccellenza verso l'alto, e questo automaticamente fa perdonare i
mille difettacci elencati poc'anzi. Certo ogni tanto ci si sente
ostaggi del film, affamati di maggiore azione e irritati da una
scansione degli eventi che non convince. In un film di tre ore non si
spiega perché il personaggio del muta-forma sia appena accennato così
come non si spiega lo strabordante spazio nella solita dimora elfica.
Il film rimane ampiamente imperfetto e non raggiunge le vette di
scrittura del Signore degli Anelli. Ma lo spettacolo, se superate
incolumi la prima oretta, diverte e avvince e porta in dote alcune
delle più belle scene d'azione cinematografica di sempre. È questo
quello che conta. Per questo promuoviamo La desolazione di Smaug
nonostante i suoi difetti e attendiamo con gioia il capitolo 3.
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