Risto (Pekka Strang) è un omone alto e segaligno, barbuto e dallo sguardo truce. Un matrimonio un po’ ingolfato, l’hobby di suonare la batteria in modo sfrenato in cantina, un “lavoro sicuro” come autista di carri funebri, un’unica grandissima ossessione: il gioco d’azzardo.
Risto non fa prigionieri e non cade in sentimentalismi: si brucia tutto con il poker online, in pochi secondi, appena riesce a vedere che sul suo conto corrente è arrivato un bonifico di pagamento. Perde e riparte, in cerca di nuovi soldi da bruciare una volta nelle sue mani, di ogni tipo e provenienza. Accetta che vengano da lavori “poco puliti” di “smaltimento cadaveri”. Non disdegna la paghetta che ogni tanto la nonna “crede” di passare a suo figlio, è arrivato a vendere l’auto funebre scambiandola con un rottame che non tiene la strada, pur di raggranellare qualcosa. Perennemente “in botta”, per “fare il romantico” con la moglie sottrae gioielli direttamente dalle bare, prima di saldarle. Spesso, viene buttato fuori di casa.
Arto (Jari Virman), il sorridente e un po’ timido vicino di casa di Risto, di professione insegnante, ha da poco scoperto con una tac di avere solo il 15% di massa cerebrale. La notizia ha sconvolto davvero poco i suoi parenti e colleghi, che da quel momento hanno iniziato a prenderlo per i fondelli come se non ci fosse un domani. Forse Arto potrebbe morire da un momento all’altro, magari andrebbe curato, ma il “rischio percepito”, da chi gli sta intorno, è soprattutto la circostanza che faccia qualcosa di terribilmente stupido per via del poco cervello. Così Arto perde il lavoro alla scuola, con la stessa moglie che smette di cercare di avere un figlio con lui, per paura che esca stupido. Un giorno finisce buttato fuori di casa.
Arto arriva così ad aiutare Risto nella sua attività “più o meno legale” di pompe funebri. È ovviamente un disastro, perché Risto appena viene pagato si brucia tutto al poker e i due finiscono sovente per dormire nel carro funebre, saltando i pasti. Ma in fondo il loro legame diviene qualcosa di molto simile ad una pur strampalata amicizia, un mutuo soccorso per sopravvivere insieme e forse sognare di cambiare vita, città, futuro.
La grande occasione arriva proprio dal posto più tetro, disperato e sbagliato in cui si potrebbe finire: un palazzo fatiscente dove una organizzazione malavitosa allestisce gare di roulette russa per aspiranti pazzi/disperati/suicidi, da trasmettere in diretta per gli scommettitori del dark web.
I concorrenti della roulette russa sono di tutte le età e ceti, ma hanno tutti in comune il fatto di morire e dover essere “smaltiti”, esclusiva della nuova “impresa comune” di Arto e Risto. Facendo avanti e indietro tra il palazzone e una radura isolata dove far “sparire i giocatori”, con in tasca anche tanti bei soldi sporchi da bruciare al poker, i due iniziano a pensare che in fondo la roulette russa frutta davvero tantissimi soldi. Chi passa il primo turno vince 5.000 euro, il secondo sono già 10.000, il terzo 20.000 e poi si raddoppia, si quadruplica. Certo, si può pure morire, ma se Arto non ha il cervello magari il colpo potrebbe andare a vuoto.
Moooolto più cattivo e meno poetico del conterraneo Aki Kaurismaki, il bravo Teemu Nikki ci immerge in una commedia nera nerissima, “cinicissima” quanto a tratti davvero genuinamente divertente, anarchicamente libera di muoversi oltre ogni vincolo morale.
È una commedia piena di persone che si sparano in testa, luoghi orribili ai confini della civiltà, persone incredibilmente “cattive”, quasi allergiche a ogni forma di empatia umana. Un deserto morale e materiale autentico, su cui (soprav)vivono e “lottano con noi” i due improbabilissimi, quanto tragicissimi, protagonisti di questa vicenda. Come ci insegna Fantozzi, dietro a ogni risata può celarsi una tenebra interiore profonda, una tragedia esistenziale senza fine, che può solo essere affrontata con un titanico, incosciente quanto fallimentare, “eroismo.” I nostri due antieroi vivono perennemente nelle prossimità dell’autodistruzione, sostenendosi a vicenda anche in modo commovente, ma senza mai dimenticarsi l’impegno/condanna di proseguire, a testa bassa, verso il loro piccolo e del tutto personale inferno.
Risto è tragicamente crudele, per via di una ossessione per il gioco che di fatto lo controlla compulsivamente come uno schiavo, una “dipendenza/condanna” che forse ha echi ancestrali anche nella sua famiglia, ma che lui non è in grado di risolvere da solo.
Arto si trova a essere tragicamente malato quanto tragicamente deriso, emarginato in quando “inferiore”, al punto da essere disposto a donare tutto se stesso, per una persona che riesca a vederlo, anche solo per un istante, come una “persona normale”.
Sono entrambi per motivi diversi “schiavi” delle circostanze, instradati e compiere e ricompiere gli stessi sbagli, come criceti che non possono che continuare a correre sulla loro ruota.
Pekka Strang e Jari Virman sono bravissimi nel rendere tridimensionali e credibili personaggi che sono volutamente scritti per risultare “superficialmente” come macchiette, ma che, come il Fantozzi di Villaggio, racchiudono al loro interno qualcosa di umanamente più profondo, tragicamente universale.
Testimoni di una sofferenza che spesso “urla” più delle risate, lasciandoci indecisi sul poterci “divertire davvero” alla luce delle disgrazie di questi due poveracci. Il sarcasmo è però tanto imperante che alla fine, pur con un po’ di senso di colpa, il pubblico ride. Commedia e tragedia si mescolano e il risultato finale conquista, almeno quando confonde e aiuta a riflettere: un po’ come avviene con i personaggi di Villaggio, un po’ come avviene con quelli di Beckett.
Teemu Nikki si conferma un grande talento e la Finlandia crepuscolare e cinica di questo film saprà accompagnarci anche dopo la visione, scavando nelle angosce ma sapendo anche, al contempo, burlarsi di loro.
Bravissimi gli attori, tempi comici/drammatici perfetti, una trama ricca di idee che prosegue senza intoppi fino alla fine, un senso di malinconia e amarezza forti, che si portano a casa forse più delle risate.
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