(Sinossi)
Il ladro gentiluomo è morto dopo essere stato condannato.
Impiccagione.
Il decesso è stato confermato dalle autorità della Transilvania, ma il vecchio ispettore Zenigata, che ha dedicato tutta la vita alla sua caccia, non ci crede e va in loco.
Il poliziotto vuole vedere con i suoi occhi la bara, tenuta negli scantinati di quello che sembra a tutti gli effetti il castello di Dracula. È armato, per sicurezza, di un paletto di frassino, sicuro che il ladro potrebbe lì “resuscitare”, come un vampiro.
La bara ha effettivamente al suo interno il cadavere di Lupin, ma di colpo questo esplode, con la stanza che si riempie di fumo. Lupin appare alle spalle dell’ispettore, attaccato al soffitto a testa in giù, come i pipistrelli.
Solo uno sguardo e una risata all’eterno avversario, poi la fuga, lanciandosi con un aliante stile Batman nel cuore della notte, usando quella che appare come una fionda meccanica.
Zenigata è confuso: c’erano davvero due distinti Lupin in quella stanza?
Più tardi, scopriremo che anche il Lupin fuggitivo è confuso: quello nella bara era sicuramente lui e ultimamente non è che lui si senta troppo “in sé“. La risposta a questa domanda comune può venire forse dal nuovo misterioso committente della ladra Fujiko: Mamoo.
Mamoo è minuto e sgraziato, ha una testa enorme e occhi spaventosi come un alieno “grigio”. La sua pelle è di uno strano color violaceo, rughe profonde insieme a tratti somatici quasi infantili ne conferiscono un’età indecifrabile.
Appare fragile, ma è un uomo potentissimo, estremamente colto, geniale, forse con poteri magici.
Dopo molte ricerche, si accerta che una delle sue identità potrebbe essere quella dell’uomo più ricco del mondo (il cui nome fittizio sembra richiamare Howard Hughes) forse perché il suo piccolo regno personale si nasconde nell’isola privata del celebre magnate. Qui vivono, o forse “rivivono”, tra palazzi con architetture surreali, sospese trapassato e presente, importanti personalità come Hitler e Napoleone. Tra le strade, gli interni e i vicoli, diventano reali “scorci paesaggistici” di quadri di De Chirico, Dalì, Escher, come se anche i più grandi artisti del passato (forse anche loro “rinati?”) abbiano attivamente dato il loro contributo a trasformare l’isola in un’unica, gigantesca opera d’arte collettiva.
Anche Fujiko è per Mamoo in qualche modo un’opera d’arte da preservare: forse la reincarnazione di Venere, forse una novella “Eva”. Oltre a essere un grande mecenate e collezionista d’arte, sovrano di una “elite” che trascende tempo e spazio, Mamoo ama muovere le trame di complicati giochi di potere, in cui sono coinvolte controvoglia tutte le nazioni della terra. Lo fa in virtù di una urgenza misteriosamente “impellente”, per un uomo che afferma di vivere da migliaia di anni: la ricerca di una formula per l’immortalità. Questa dovrebbe risiede in testi antichi e oggetti misteriosi, sparsi per il mondo e legati alle civiltà del passato. Uno di loro è la “pietra dell’uomo saggio”, nascosta tra le piramidi egizie.
La nazione che gli fornirà la “cura”, avrà il privilegio di non essere sterminata dall’immenso arsenale atomico di cui dispone. La bellissima Fujiko, da sempre amante dell’adrenalina e del pericolo, è ovviamente sedotta da un uomo che sprigiona tutta questa grandiosità, ricchezza e smania di potere quasi senza limiti. Di conseguenza, per agevolare il sogno di Mamoo e avere qualche tornaconto personale, coinvolge il come sempre “poco saggio e troppo innamorato” Lupin, nella complessa e rischiosa caccia alla cosiddetta “pietra dell’uomo saggio”.
Da queste basi la trama seguirà un percorso tortuoso che “manzonianamente” passerà dalle Alpi (Transilvaniche) alle Piramidi, per poi giungere infine al Reno, nella città di Parigi. Con Lupin e i suoi due inseparabili soci, lo spadaccino Goemon e il pistolero Jigen, che si troveranno perennemente inseguiti dal solito e indomabile ispettore di polizia Zenigata, ma anche nel mirino di tutte le armi e risorse fuori scala che è in grado di muovere Mamoo: un grande esperto di guerra psicologica.
Camion giganteschi e più minacciosi delle blindocisterne di Mad Max, in grado di schiacciare intere volanti della polizia senza rallentare, camminandoci sopra, solo grazie alla spropositata dimensione delle loro gomme. Elicotteri con al comando piloti così abili da volare senza preoccupazioni anche in una rete fognaria cittadina, che non si fanno scrupoli nel crivellare una folla inerme. Trappole mortali di ogni tipo e anche in grado di scatenare terremoti, un sistema missilistico segreto che con un tocco può avviare l’apocalisse.
Forse mettersi contro Mamoo è una sfida troppo grande anche per Lupin III. Mamoo “si sente” e forse ha pure i poteri di un dio. Ma non esistono ostacoli in grado di fermare Lupin, se la posta in gioco finale, la sua unica filosofica ragion d’essere, il suo “sogno”, è sempre e solo quello di riuscire ad allungare le mani sulle forme prorompenti della bella Fujiko.
In genere la procace, disinibita e provocante Fujiko (il cui nome è un omaggio diretto al suo seno, paragonato dall’autore per maestosità al monte Fuji) riesce sempre a stuzzicarlo promettendogli cene galanti e notti di passione in cambio di missioni pericolosissime. Poi lo raggira, lo rimette al suo posto e sorridendo lo manda “in bianco”. Quando lui “accelera i tempi” e spogliandosi si tuffa su di lei, a volo d’angelo, coperto solo dai suoi classici boxer a righe, lei riesce sempre a narcotizzarlo, scagliarlo via con congegni a molle e infine fuggire con il bottino, da sola, vanificando ogni piano e pallottola schivata per conquistarla.
Lupin, quando si parla di Fujiko, non demorde mai. Pur nel biasimo generale dei suoi due soci, che si trovano spesso a lavorare gratis e sfiorare diverse pallottole a causa di situazioni generate dalla bellissima doppiogiochista.
Lupin non demorderà neanche questa volta, anche se la posta in palio sarà qui così alta da coinvolgere il destino di tutto il mondo.
Potranno Mamoo e le sue infinite e spettacolari “armi della scienza”, unite alla sua straordinaria cultura e influenza politica, riuscire ad avere la meglio su quell’innamoratissimo, resistentissimo ma a tratti geniale “scimmiotto” di Lupin?
(Il Lupin “per adulti” e quello “per bambini”)
È negli stessi anni ‘60/ ‘70 di Diabolik e Kriminal, che l’autore giapponese conosciuto con lo pseudonimo di “Monkey Punch” dà vita ai fumetti di Lupin III, ispirandosi liberamente al personaggio creato da Maurice Leblanc. Lupin III è come l’originale un ladro scaltro, spesso all’interno di storie anche cruente, diremmo per l’epoca “poliziottesche”. Ma è pure e senza dubbio un grandissimo “estimatore” del genere femminile.
Che si tratti di attrazione fisica, quanto di amore romantico, il nostro eroe non conoscere freni. Moltissime strisce, accentuate da uno stile grafico sexy ma pure squisitamente umoristico, lo ritraggono infatti nudo, mentre cerca di impalmare la sua ossessione principale: la bellissima ladra Fujiko. Una Fujiko che, come Nadia Cassini e la Fenech degli anni ‘70, non lesina di esibirsi su carta, ma poi anche nelle serie tv e al cinema, in molte situazioni caratterizzate da un alto grado di sensualità. Pur se il nostro Lupin, come Lino Banfi o Vitali, è destinato ad andare (quasi) sempre incontro a un epilogo insoddisfacente, doloroso quanto tragicomico. Per poi riprendersi e riprovarci con una ossessione paragonabile solo a quella di Willie E. Coyote.
La brama d’amore vince sempre sulla brama di denaro e potere: Lupin è un vero antieroe romantico, giocoforza sempre nel mirino di qualche avido privo di sentimenti.
Alzando la posta in gioco con un forte smorzamento del suo tratto umoristico, che pur rimane, il personaggio diventava a tutti gli effetti un prodotto per adulti con il primo cartone animato a lui dedicato, uscito in Giappone nel 1971/72 ad opera della TMS, seppur arrivato in Italia solo nel 1979.
I 23 episodi che componevano la serie, spesso sperimentali quanto arditi nel rappresentare la sensualità quanto la violenza, “Eros e Thanatos”, di fatto furono la “palestra creativa” in cui, sotto la guida di animatori storici come Yasuo Ōtsuka (cresciuto nel gruppo dì Osamu Tezuka), sono fioriti Hayao Miyazaki e Isao Takahata (i futuri Ghibli), ma pure Tsutomu Shibayama (regista tv di Doraemon).
I distributori italiani del 1979, presi molto bene dall’atmosfera “anarchica e peccaminosa“ che trasudava il cartone animato, almeno quanto nella cultura dell’epoca, arrivarono a scegliere come sigla dell’edizione nostrana la hit francese “Planet O di Daisy Daze and the Bumble Bees”: un brano disco ispirato al peccaminoso libro del marchese De Sade “Histoire d’O”, che parla esplicitamente di sessualità e corsara voglia di trasgressione.
Fino al 1979 e all’uscita cinematografica italiana proprio di questo film, Lupin III - La Pietra della Saggezza, vedere Lupin in tv era davvero come leggere il noir/action di Kriminal e Diabolik. Del resto il fatto che i cartoni animati dovessero essere “strettamente roba da bambini” era una questione che non era mai stata sollevata e il pubblico italiano, con il palinsesto che era ricco anche di opere adulte e disturbanti come L’Uomo Tigre, Devilman, Bem il mostro umano, al netto di un paio di mamme che si legavano ai cancelli della Rai protestando per la messa in onda di Goldrake. Poi le cose cambiarono.
La Pietra della Saggezza arrivava nelle sale proprio in concomitanza con la seconda serie animata di Lupin III: una nuova serie che, anche per volontà dei produttori giapponesi, non era più rivolta a un pubblico strettamente adulto: risultando molto meno violenta, ancora a tratti “sensuale”, ma con una maggiore dose di ironia e disimpegno generale.
Una serie che in Italia avrebbe avuto come sigla, al posto della peccaminosa disco hit Planet O, un brano di “liscio romagnolo” ( variante “valzer parigino”) eseguito dall’Orchestra Castellina-Pasi. Una serie con protagonista un Lupin molto “burlone”, in sintesi.
Il film voleva invece, con tutte le sue forze, essere un’opera “estrema e scollacciata”, sul modello del Lupin “duro” della prima serie tv e del manga.
Ecco allora che i temi del “doppio”, del “clone” e della “rinascita”, che sono alla base della storia raccontata in questa pellicola, possono assumente anche una valenza squisitamente meta-cinematografica: raccontandoci il modo in cui il personaggio “editorialmente” si stava sdoppiando (anche per “faide” interne legate allo sfruttamento del prodotto), e lo avrebbe fatto ancora più volte in futuro, forse nel processo “perdendoci qualcosa”.
In Italia, questa “perdita di qualcosa” andò a braccetto, purtroppo, anche con la censura.
Il film arrivò in sala orgogliosamente in versione integrale, con la peccaminosa Planet O inserita nei titoli di testa e di coda.
Fu la prima e unica volta, fino ad ora, in cui si poté vedere La Pietra della Saggezza nella versione voluta dai realizzatori.
Anche grazie alle mamme che si incatenavano alla Rai per non trasmettere Goldrake, quella versione sparì per sempre: al suo primo passaggio in tv, La pietra della saggezza fu brutalmente censurato. Via tutte le scene di nudo di Fujiko, via ogni scena in cui veniva rappresentata della violenza anche se funzionale e logicamente legata alla trama, via addirittura dei quadri reali famosi se i soggetti “non adatti ai minori”, via Planet O. Tagli che renderanno la visione in alcune parti della storia anche criptica, motivati dal fatto che in tv Lupin III ora doveva fatturare nella fascia oraria destinata ai bambini. Anche la seconda stagione di Lupin, una volta spostata dalle emittenti locali alla tv nazionale, verrà tranciata di svariati minuti per eliminare gran parte delle scene sensuali presenti. Peggio toccherà alla terza serie, del 1984, che per uno scherzo del destino avrà come character designer proprio l’animatore capo de La Pietra della Saggezza, Yuzo Aoki. La splendida Fujiko di Aoki è così diventata uno dei personaggi animati più censurati di sempre. Siccome la terza serie era tornata ad essere un prodotto per adulti, in questo caso con presenti un gran numero di scene scollacciate, la mannaia della censura italiana, pur di conservare con le unghie e i denti la fascia di trasmissione dei più piccoli, sforbicerà o addirittura ribalterà il senso narrativo di diverse puntate, riuscendo in alcuni casi a toccare vette di incomprensibilità e assurdo allucinanti.
C’è da dire che questo infausto periodo di censura è finito e oggi sono giunte a noi, senza tagli, anche le successive serie di Lupin “più spinte” sul piano dell’erotismo e della violenza visiva. Faccio riferimento soprattutto alle opere firmate da Takashi Koike e nello specifico alla miniserie “La donna chiamata Fujiko Mine”, che riprende molte delle atmosfere e tematiche a metà strada tra arte, la metafisica e la sensualità proprie de La pietra della saggezza.
Negli anni, in Giappone, svariati autori hanno messo mano a Lupin e al suo mondo: come lo stesso Monkey Punch, che ha voluto dirigere un suo film personale, Dead or Alive, che ovviamente era uscito come un “poliziottesco durissimo”, pur con venature fantasy. Come Miyazaki, che con Il castello di Cagliostro ha “codificato” un “proprio Lupin”, perfettamente integrato nelle opere sognanti dello studio Ghibli. Ogni autore ha in qualche modo modificato il personaggio in fisionomia, a volte anche in carattere, a volte anche solo “aggiornandolo” per andare incontro a un pubblico che in 50 anni si è molto diversificato.
Sono nati così tanti doppi o “cloni”, che un giorno TMS ha deciso di far “incontrare e scontrare” tutti insieme, in un’interessante storia “corale”, nello special Green vs Red del 2008, per la regia di Shigeyuki Miya. Un film per il quarantesimo anniversario della serie in cui figuravano sulla scena ben più di quaranta diversi Lupin. Ma è in fondo proprio qui, ne La Pietra della Saggezza, che viene rivendicato il diritto artistico di “clonare” Lupin per renderlo così in parte immortale.
Yamato Video “resuscita” oggi in sala La Pietra della Saggezza, oltre che con il massimo della definizione audio e video possibile, anche con il primo doppiaggio originale non censurato (cui seguirono ben tre doppiaggi in parte “censurati”).
La nuova edizione della Pietra della Saggezza conferma, ancora una volta, la volontà dell’editore milanese di ripristinare e riportare al suo splendore, rigorosamente senza censure, tutto il materiale originale legato a Lupin III.
(La pietra della saggezza come ci appare oggi al cinema, nel 2024)
Lupin III - La Pietra della Saggezza è il primissimo film cinematografico di Lupin III e viene affidato alla regia dell’esperto Soji Yoshikawa, che prima (tra le mille cose) era stato già alla direzione di alcune puntate di serie tv come Rocky Joe, Yattaman, Zambot 3 e Conan.
La pellicola, visivamente molto sontuosa e animata da un ritmo dell’azione quasi ossessivo, ha potuto godere di un alto budget, pari a 500 milioni di Yen, che ha portato al coinvolgimento attivo di una troupe di 1513 persone per 15 mesi, arrivando a una release che si sovrapponeva con la messa in onda della stagione 2 e anticipava solo di pochi mesi il secondo film cinematografico dedicato al personaggio, Il castello di Cagliostro di Hayao Miyazaki.
Proprio per la straordinaria forza e qualità delle scene d’azione, molte sequenze de La Pietra della Saggezza saranno scelte, insieme a spezzoni de Il castello di Cagliostro, per comporre il laser game Cliff Hanger di Stern Electronics, uscito nel 1983 e arrivato anche nelle sale giochi italiane.
L’ottima colonna sonora è firmata dall’inconfondibile compositore jazz Yuji Ohno, che proprio da questo film, insieme alla concomitante stagione due, sarà fino ad oggi il musicista di riferimento di ogni opera legata a Lupin. La musica di Ohno a volte entra anche lei “nell’azione”, come in una sequenza in cui Mamoo cerca di colpire Lupin con uno dei raggi laser che partono dalla pressione dei tasti di un organo.
La trama confezionata da Yoshikawa e Yamatoya è decisamente folle e sopra le righe. Da un lato è spiazzate l’apocalittica messa in scena dello scontro tra il nostro eroe e un avversario quasi onnipotente, che non lesina di esibire la sua forza in scene iperboliche e vertiginose, grandiose quanto molto crude, con risvolti sinistri, a volte anche splatter. Si respira molta tensione, i personaggi sovente viaggiano attraverso quelli che sembrano autentici viaggi allucinatori, ma al contempo la storia appare davvero ricca, suggestiva. Ci sono rimandi alla situazione geopolitica dell’epoca, “guest star” politiche come Henry Kissinger. Si gioca con temi cari alla filosofia quanto alla psicanalisi, rappresentando lo scontro tra Lupin e Mamoo simbolicamente come il conflitto tra l’istinto che si contrappone alla ragione, se vogliamo alla ricerca del significato più profondo della “saggezza”: se sia più saggio vivere il presente o temere costantemente di morire pensando al futuro e rimpiangendo il passato. La sceneggiatura non si vergogna di lanciarsi in metafore anche di natura “freudianamente” sessuale, come una scena che ha per protagonista la celebre spada Zantetsu di Goemon. A volte la trama si fa pure sarcastica e quasi fantozziana, come nella scena dell’incontro totalmente surreale tra Zenigata e il sovrintendente.
L’intreccio de La Pietra della Saggezza va poi gradualmente nel terzo atto quasi a dissolversi, assumendo la forma di flusso di coscienza o un viaggio onirico in cui i tempi sono dilatati, la direzione del racconto in continuo divenire. In 102 minuti accade quasi di tutto.
La caratterizzazione dei personaggi, opera di Yasuo Otsuka, vede un riuscito Lupin dalla fisionomia particolarmente buffa, caricaturale e arcuata, ma sempre pronto a dimostrarsi “serio e credibile” nell’affrontare i momenti più drammatici. Fujiko è più che mai bellissima e slanciata, in diretta “competizione” con le forme delle tante statue delle divinità greche di cui abbonda l’isola di Mamoo, ma come sempre ben più “complicata e profonda” di come appare in superficie: convincente anche nelle scene più action, drammatiche come umoristiche.
Il faustiano Mamoo richiama in moltissimi dettagli Swan, il villain interpretato da Paul Williams nel seminale Il fantasma del palcoscenico di Brian De Palma, pellicola cult del 1975 che avrebbe ispirato molto anche l’immaginazione di Kentaro Miura. Come Swan, Mamoo “spia” il mondo da dietro telecamere nascoste, ha una vera ossessione per la bellezza e cerca con tutte le forze di epurare il mondo dal “brutto”, cercando di edificare un proprio personale paradiso in terra.
Al di là di tutto il suo sconfinato potere, Otsuka ce lo rappresenta come Paul Williams piccolo, dal corpo né adulto né bambino, con occhi incredibilmente grandi ed espressivi che a volte ci fanno provare anche pietà per lui. È simile a un tragico guscio vuoto, sempre sul punto di rompersi.
Goemon e Jigen, così come Zenigata, hanno un design forse più convenzionale, ma offrono il meglio di loro in dialoghi serrati quanto a volte sopra le righe. Particolarmente divertente è Goemon, che qui appare decisamente meno taciturno del solito ed esprime il suo momentaneo stato d’ansia attraverso fiumi di parole quasi incontrollate e continui battibecchi con Jigen.
Esteticamente, La Pietra della Saggezza profuma delle stesse atmosfere esotiche di James Bond.
Cita in una lunga sequenza The Duel di Spielberg del 1971 e attraverso le sue ricche scenografie lancia continui rimandi al cinema di genere del suo periodo, tra la fantascienza (le geometrie asettiche di 2001) e il fantasy (il futuro che si mischia con il passato di Zadoz).
Davvero affascinanti le suggestioni grafiche legate al mondo dell’arte classica e moderna propria degli anni 60/70, con scene che hanno sullo sfondo rivisitazioni molto fedeli di opere come Il Giudizio Universale di Michelangelo Buonarroti, Mistero e Melanconia di De Chirico, Relatività di Escher, La persistenza della memoria di Dalì. Ci sono scorci del Partenone, rievocazioni delle illustrazioni di Bacone per la Divina Commedia, edifici che richiamano Atlantide come Babilonia, centinaia di farfalle colorate che diventano quasi dei mosaici post-moderni.
Assume oggi un gusto del tutto particolare la sequenza quasi onirica con Napoleone e Hitler, con molte similitudini con quanto avviene nel surreale fantasy Fairytale del russo Sokurov, uscito nelle nostre sale giusto nel Natale 2022.
(Finale)
Al netto di una trama adulta e molto affascinante, ma che in alcuni passaggi può risultare complessa, tutto il comparto tecnico dell’opera risulta di altissimo livello ancora oggi.
È un film folle, anarchico, metafisico, psichedelico, sensuale e sarcastico.
È un film che volutamente estremizza ogni concetto e forma, andando a disegnare un Lupin davvero unico.
Un Lupin che grazie a Nexo e Yamato Video, che hanno recuperato l’opera nella sua forma migliore e non censurata, torna a vivere come voluto dai suoi autori, a distanza di 45 anni, in sala, in questa calda estate del 2024.
Un appuntamento imperdibile per tutti i fan del personaggio, ma anche per chi ama l’animazione e le mille suggestioni del cinema degli anni ‘70. Lupin III al cinema non è “solo“ Il Castello di Cagliostro.
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