Parte terza
Considerazioni da gonzo e novità in arrivo: Confessions di Nakashima nei cinema e nuova linea home video
An Inaccurate
Memoir di Yang Shupeng. Tizi che sembrano uscire da One Piece
compongono una banda di fuorilegge che imperversa in una Cina-western
sotto la dominazione dei Giapponesi. I suddetti si sono costruiti un
personale undeground sotterraneo (anche il sistema di illuminazione
del medesimo mi sembra una citazione diretta al classico di
Kusturica) dal quale partono per le loro bravate. Un ribelle al regime
giappo scorge il potenziale della gang e cerca di volgerla alla
causa. Non mancano sparatorie a profusione, statue di Buddha e carri
armati in questo concentrato di cultura pop roboante, ben
fotografato, citazionista (da Point Break a Kill Bill passando
per... Lady Gaga...). Peccato che su tutto pervada un senso di caos
assoluto, sostenuto da scelte registiche da linciaggio (come quella
di assecondare l'incedere dei mitragliatori a spostamenti rapidi
della macchina da presa), rallenty da pena capitale e una
sceneggiatura ipertrofica che non ama farsi seguire e fa di tutto per
rendersi indigesta. C'è comunque del divertimento nell'insieme,
magari una seconda visione può essere pure adatta a sbrogliare una
scrittura tanto contorta in prima battuta. Da rivedere, anche perché più ci penso più mi tornano alla mente aspetti positivi.
Long
Weekend di Taweewat Wantha.Un ragazzino con evidenti turbe
mentali costituisce anche un pauroso catalizzatore di forze
paranormali. Per evitare che venga costantemente “posseduto” i
genitori gli hanno messo al collo una collana consacrata. Per fare il
figo con una ragazzina che si trova con lui in infermeria, il genio
propone “vuoi vedere un fantasma? Basta che mi togli la collana”.
La bimba decide di provare l'ebbrezza, compie l'insano gesto e in un
istante già fissa un muso spettrale e ringhiante al posto del
ragazzino. Gli anni passano, lui è rimasto nella testa un bambino,
lei è diventata una bella ragazza e si circonda dei classici amici
scemi da film dell'orrore. Così un week end decidono tutti di andare
nella casa di uno della compa, quello che c'ha la casa su un'isola
maledetta dove in passato è stata evocata un'entità malvagia che
per un errore nel rito invece che prosperità, viagra e libagioni di
pesci ha portato morte e distruzione. Ovviamente ricorre quel week
end l'anniversario della morte e distruzione di cui sopra.
Tutto
procede come un film horror, la musica sale, qualcuno pensa di
iniziare a scopare, quando ecco che l'amico con collana consacrata
decide di fare una capatina. Le scimmie della compa, ritenendo di fare
lo scherzo dell'anno, lo conducono dove è avvenuto il rito
maledetto, lo mettono nel loculo dove veniva evocato il mostro del
rito maledetto, gli tolgono la collana e festanti aspettano di essere
massacrati tutti durante il resto della pellicola. Questo film è
perfetto, funziona a dovere sotto ogni punto di vista. I personaggi
sono veramente un branco di idioti verso i quali è difficile
empatizzare a qualsiasi livello, ma il rimo narrativo c'è, gli
spaventi anche, la macchina narrativa è oliata a dovere. Il miracolo
avviene anche in virtù del fatto che lo spettatore sa bene quello
che di lì a poco inevitabilmente accadrà, sa che si spaventerà, ma
la costruzione è così perfetta da non lasciare delusi e la visione
della pellicola scorre ilare come una gioiosa corsa sulle montagne
russe. Il prodotto ideale da vedere con gli amici e pop corn
acclusi.
9-9-81 di Autori vari. 9 cortometraggi di 9 minuti, 81
minuti complessivi, tema horror, realizzati da 12 registi emergenti.
Tutto ruota intorno ad una ragazza che decide di togliersi la vita.
Come tradizione orientale vuole, da questo avvenimento partirà una
maledizione di portata cosmica che inghiottirà chiunque sia
accidentalmente venuto in contatto con la ragazza o il suo
appartamento. L'idea è buona ma da subito presenta dei limiti, anche
connessi con il risicato minutaggio complessivo, ma soprattutto in
relazione della voglia di emergere dei singoli registi. Di tutta
l'operazione risultano quindi ben eseguiti i primi 2-3 corti, con il
resto della pellicola che fa a ritorcersi su se stessa, priva di una
identità forte, come di una trovata geniale. Anche qui cala la
palpebra di tanto in tanto, ed è una cosa abbastanza assurda. Quando
l'idea è migliore del progetto finale.
Rurouni Kenshin di
Keishi Otomo. Ecco, targata 2012, la trasposizione con attori in
carne ed ossa del manga-anime Kenshin samurai vagabondo. Kenshin è
un samurai che ha versato tanto, ma tanto, ma tanto, ma tanto, tanto,
tanto, tanto sangue al punto di decidere che non vuole versarne più,
a nessun titolo. Per non incorrere in tentazione ha deciso di
invertire la lama della sua spada (ma non bastava girare l'elsa?),
così che colpi mortali si traducano solo in mega “botte” non
invalidanti. Ora so di poter scandalizzare qualche appassionato, ma
io, personalmente, detesto Kenshin e tutti i manga su samurai “senza
palle” che si sono susseguiti. Un tratto morbido, grandi occhioni
dei personaggi, fiori di ciliegio a rompere in ogni inquadratura.
Roba da donne. Poi nemmeno un combattimento decente, piattume
statico, carisma a zero. Non pago di un tale orrore grafico, l'autore,
come specificato nelle note del manga, si ispira ai comics americani.
Insomma, tutti quelli che appaiono in Kenshin sono copie di Ciclope,
Spiderman, Hulk, Mr.Fantastic. Grandioso, dirà qualcuno. E invece
no! Non c'entrano una fava con il contesto, sono banali, irritanti e
vuoti. Mai comunque come irritante e vuoto è il protagonista, con
una perenne faccina dolce da ebete. Il film è esattamente la stessa
cosa del fumetto. Senza continuare a spargere bile e odio per il
personaggio (giacché sono comunque andato a vedermelo, questo film),
la pellicola rispecchia appieno l'atmosfera del manga, i personaggi
sono identici e le scene di combattimento perfettamente ricreate (e
quindi fanno tutte... no, no, non voglio eccedere), con tanto di
colpi riprodotti. Se amate il fumetto, probabilmente vi piacerà il
film.
Mariposa: in the cage on the night di Richard V.Somes.
Ecco IL filmone
ultra splatter, brutto, sporco e cattivo del festival. Maya deve
andare a Manila per via della sorella. Certo non si aspetta di
doverla andare a riconoscere in un fatiscente, rugginoso e sporco
obitorio. Per portare a casa la sorella le servono dei soldi per
pagare il suo ultimo “alloggio”, per capire cosa le è successo
dovrà mettersi in contatto con il marcio mondo dei sobborghi, tra
droga, prostituzione, gangster, pazzi psicopatici. Mariposa (titolo
forviante per chi abita in zona Milano) è una lenta ed inesorabile
discesa agli inferi, un degradare tanto visivo quanto contenutistico
fino ai titoli di coda. Visivamente forte, narrativamente incalzante,
un piatto texmex per stomaci forti dove mutilazioni, sangue e
violenza sono all'ordine del giorno e certi trucchi di make up non vi
faranno dormire la notte. Gli interpreti sono appropriati, ma è
difficile scorgerli nel vortice sensoriale della pellicola
che vede solo la Manila by night come unico e inesorabile
protagonista della vicenda. Un autentico pugno allo stomaco. Una
pellicola che farebbe felici milioni di fan del torture porn, se solo
la conoscessero.
A story of Yonosuke di Shuichi Okita.
Yonosuke arriva dalla campagna nella grande città per studiare. Vive
in quei mini appartamenti-monolocali per single che abbiamo visto e
rivisto in mille cartoni animati (come Welcome to NHK), abitazioni a
schiera gomito a gomito con vicini di casa che non si vedono mai e
per lo più fanno rumori molesti ad orari imprecisati, quattro mura
in cui stipare tutto e concentrarsi sullo studio, in genere. Yonosuke
sta per intraprendere il momento più esaltante della sua vita
scolastica e non si sa come viene spinto da strampalati nuovi amici a
frequentare il club di latino-americano. Yonosuke inizia a
frequentare una ragazza ricchissima ma un po' stramba, nasce una bella
love story. Sembra che tutti quelli che lo incontrano diventino
persone migliori e tutto il film è un andare narrativamente avanti e
indietro nel tempo, per vedere come il buffo protagonista riesca a
cambiare le persone. Okita confeziona un film molto tenero, con una
punta di malinconia inaspettata e in grado di travolgere gli
spettatori. Un'ottima sintesi tra commedia e dramma, tra realismo e
demenzialità, quasi la ricerca visiva di un “senso della vita”,
verrebbe da dire. Film molto bello, splendidamente recitato, scritto
con la giusta leggerezza.
Ghost Sweepers di Shin Jung-wan. Su
un'isola coreana accadono cose parecchio strane e soprannaturali.
Pertanto vengono inviati esorcisti da ogni dove per investigare.
Dalle fattucchiere ai bambini che predicono il futuro, tizi che
vedono la gente morta, epigoni dei ghost busters moderni, con
tecnologia e telecamere e sottospecie di santoni televisivi, tutte le
categorie più o meno note di occultisti rispondono alla chiamata. Ma
i fantasmi non sono da meno, anzi sono un vero e proprio esercito.
In tutto questo marasma una giornalista è chiamata, con molta
riluttanza a partecipare, anche perché un suo recente servizio l'ha
messa nel mirino di gente poco raccomandabile. Ipertrofica, caciarona
ma a conti fatti gustosa commedia a tinte soprannaturali, non parca
nell'elargire a piene mani risate, Ghost Sweepers raduna un esercito
di talenti comici ottimamente diretti e in grado di mettersi in luce
al meglio. Davvero un film riuscito e divertente.
I have to buy
new shoes di Kitagawa Eriko. Un fotografo e una giornalista
giapponesi si incontrano per caso a Parigi. Lui ci è capitato per
caso, accompagnando la sorella in qualità di “portafortuna” per
risolvere una questione sentimentale, lei ci vive da un po', ma con
molti rimpianti. Accidentalmente lei scivola sul passaporto del
fotografo caduto in terra per caso. Il tacco della sua scarpa si
rompe, il passaporto viene nel contempo dilaniato dal tacco. Comincia
così una love story garbata e tenera, forse un po' zuccherina,
perfettamente diretta e recitata, con la capacità di non cadere mai
nello stucchevole o nell'eccesso. Davvero uno spettacolo godibile (se
siete donne potrebbe essere anche “il film della vita”...no dai,
forse qui esagero).
Saving General Yang di Ronny Yu. A
chiudere le danze, viene scelto un filmone di cappa e spada
ambientato in Cina ai tempi della dinastia Song, volto a descrivere
al meglio l'eroismo, l'onore e la tenacia del generale Yang Ye e
della sua famiglia. Il patriarca viene chiamato a reindossare
l'armatura, ma cade vittima per via di sue certe “manie” nel
comandare le truppe, di una tattica avversaria così basilare che la
conoscevano pure i neanderthal (se attacchi frontalmente e sguarnito
sui fianchi come un fesso, è ovvio che il nemico ti andrà a
colpire proprio sui fianchi, per quanto tu sia eroico). Ma il
generale in qualche modo si salva, pur rimanendo disperso tra le
linee nemiche. Per salvarlo partono tutti e sette i suoi figli,
giusto per garantire una continuità al casato. Ovviamente anche
loro, pregni dell'ardore e della convinzione di riuscita della
fallimentare strategia bellica già sperimentata dal padre, finiranno
per essere quasi tutti tritati. Un divertente filmone epico, ricco di
armature e combattimenti per lo più in zone sabbiose, mortificato da
inserti di computer grafica un po' vintage e dalla reiterazione
demenziale della tattica bellica degli Yang roba tipo: “andiamo
all'assalto compatti e urlando” sempre seguita da “ci hanno
battuti, per vendicarci andiamo all'assalto compatti e
urlando” moltiplicato alla “n”. Confesso con dolore che, data la
maratona filmica della giornata, qua e là mi sono abbioccato.
Pertanto il film potrebbe anche essere un capolavoro.
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