Lisa Boeri
(Claudia Gerini) lavora per Roccaforte (Michele Placido) un potente,
possessivo, bastardo uomo d'affari romano. La donna dedica anima e
corpo alla società, sentendo la necessità di dimostrare al resto
dei colleghi che il suo posto al vertice di comando è frutto del suo
impegno e non di una infatuazione di Roccaforte verso di lei. Ma al
termine della giornata lavorativa Lisa si trasforma diventando una
delle clienti abituali del Tulpa, un club privato gestito dal
misterioso Kiran (l'inquietante Nout Arquint, già visto in Shadow,
che potrebbe essere il cugino di Doug Jones), luogo di scambisti,
guardoni, fumati, perversi e zozzi vari. Le due vite di Lisa
viaggiano placide su binari separati fino a che succede qualcosa di
strano, qualcuno inizia a uccidere le persone con cui la donna ha
provato momenti di lascivo piacere al Tulpa. Un assassino che, spiega
Kiran, potrebbe essere proprio un Tulpa, una creatura scaturita
dall'inconscio umano.
La svolta horror
che il cantante dei Tiromancino intraprese un paio di anni fa con
Shadow mi colpì molto positivamente. Non ho mai amato il
“personaggio Zampaglione”, la sua supponenza a salvatore
dell'horor moderno e il suo paragonarsi ad altri registi dandogli del
tu come fece in un intervista riferendosi a Rob Zombie come “..e
poi c'è Rob”. Ma l'uomo dietro a un film o una canzone non mi
deve per forza piacere, se poi dimostra di essere un buon
professionista per me può essere pure il peggio spaccone ma lo
stimerò sempre e comunque per il suo lavoro. E Shadow, per
l'appunto, mi stupì. Una trama non banale, una riuscitissima scelta
di location (il Friuli dovrebbe essere per me la nuova frontiera
dell'horror per paesaggi e costumi locali, pertanto ho apprezzato
molto un vetusto e introvabile film il cui titolo suonava circa come
“Radice quadrata di tre”) e di attori, perfino una specie di babau
alla Freddy Krueger piuttosto riuscito, la trascinante, bellissima
colonna sonora degli Alvarius, degna delle migliori opere dei Goblin.
Forse anche perché non nutrivo alte aspettative sul prodotto finale
la pellicola mi pietrificò per la sua eleganza e il suo essere un
sentito, sincero atto di amore verso il cinema horror italico che fu,
un cinema che il mondo ci invidia, che Tartantino ci copia (Hostel),
ma che chissà perché nessuno riusciva più a portare sul grande
schermo, considerando (bonariamente) per disperso il buon Dario
Argento. Un atto d'amore che ha colpito-contagiato anche altri,
facendo scaturire progetti pur sbilanciati ma comunque interessanti
come "Paura" dei Manetti Bros. Se non possiamo ancora parlare di una
rinascita del genere, salvando le sempre buone intuizioni di Bava come "Il Nascondiglio" o trovate geniali come "Imago Mortis", il clima c'è di
sicuro, c'è fermento. Per di più Shadow nasceva come progetto
raffinato, con una forte componente multimediale, in lussuoso
cofanetto Cecchi Gori dedicato si poteva trovare anche un bel fumetto
costituente di fatto un antecendente del film e l'ottimo cd soundtrack
degli Alvarius, gruppo appunto “alla Goblin” dei qui ispiratissimi
fratelli Zampaglione. Gaudio per il collezionista, alte aspettative
per la prossima opera di Mr. Gerini.
Federico
Zampaglione per la sua opera horror n.2 sceglie un territorio da lui
particolarmente amato, il giallo italico in salsa Argento di metà
anni settanta con apprezzabili omaggi anche a Bava e Fulci. Assassini
che paiono ombre, spietati e inarrivabili, dotati di forza sovrumana
ma spinti da passioni sempre umane, miserrime, terrene: perdenti
invincibili destinati però a capitolare contro l'eroe. Un filone che
annovera cosine come "Profondo Rosso", "L'uccello dalle piume di
cristallo" e per me anche il riuscito "Io non ho sonno". Anche in questo
caso, come per Shadow, si sceglie il meglio. Alla sceneggiatura
troviamo Dardano Sacchetti, una leggenda che annovera tra i suoi
lavori "Il Gatto a nove code" e "Demoni" (di Argento), "Zombie 2" (di
Fulci), ma anche molti dei più bei poliziotteschi anni '70 come "Il
Trucido e lo sbirro", "La banda del Trucido" e molte pellicole che hanno
raccontato negli anni tanto il thriller italiano quanto spesso anche
luci e ombre della Capitale. Considerando che Tulpa è un
thriller-giallo ed è ambientato a Roma, nella zona dell Eur, si può
dire che non si poteva scegliere scrittore migliore. Attori come
Placido e la Gerini sono solidi professionisti del nostro cinema e se
il primo è una certezza (perdonandogli un paio di pellicolacce con
Accorsi...), la seconda oltre che essere sempre bona come er pane l'ho
apprezzata molto anche in contesti poco usuali come le commedie
leggere di Soldini.
E poi c'è Nout Arquint, un autentico alieno in
grado di offrire già in Shadow un'interpretazione surreale ma
ipnotica, quasi si natura Lynchana. Alla musica tornano gli Alvarius,
la scenografia è interessante e squisitamente “fuori moda”.
Ottime premesse per un film che parte subito bene, che riesce a
confrontarsi con temerarietà e stile con le più granguignolesche
rappresentazioni argentiane. Tuttavia qualcosa si rompe in questo
idillio. La scelta di far recitare in inglese se permetterà una
possibile vendibilità all'estero, paga lo scotto di un doppiaggio non
proprio sopraffino. Alcune scene appaiono mal gestite in ambito di
montaggio o meglio, se l'intento di vedere muoversi da inquadratura a
inquadratura dettagli della scena (tipo oggetti sui tavoli o
posizione dei personaggi) serviva allo scopo di far provare allo
spettatore disorientamento, l'intento non riesce. Anche la
sceneggiatura paga forse il remixaggio apportato dallo stesso
Zampaglione, fallendo alcune scene importanti come quella che spiega
il significato del film e inscenando ambienti poco coerenti o
realistici. Nonostante tutto mi sento comunque di sottolineare come
molte sequenze, suggestioni e musiche riescano a portare il film
piuttosto in alto, appagando l'effetto amarcord dei nostalgici
argentiani che più sapranno cogliere i mille riferimenti e strizzate
d'occhio al cinema che fu. Forse è proprio questo il bello e il
limite di Tulpa, il fatto di essere in buona sostanza un film degli
anni '70 in qualche modo incarnato ai giorni nostri. Così chi
ricorda-rimpiange si trova magari a suo agio, ma chi vive il
presente magari storce la bocca. Se un locale come il Tulpa poteva
avere senso negli anni 7'0 non ce l'ha più nel 2013. Gli anni '70
erano gli anni di piombo, vigeva la paura per il “peccato” in
virtù di una presenza più attiva della Chiesa, travestiti e
perversi venivano avvertiti come mostri rari, gli attentati politici
e la malavita gettavano un'ombra incerta sul futuro. Oggi il Tulpa
appare piuttosto come un baraccone esotico degli anni che furono,
quasi un topos turistico come il ristorante “la parolaccia”, un
posto tanto surreale da essere innocuo. Questo trascina verso il
basso tutta la credibilità del progetto. Che si riduce se vogliamo a
un film sugli anni '70 girato da un fan degli stessi. Se negli anni '70, facendo un esempio, mettevo un personaggio di un film giallo in
un corridoio scarsamente illuminato ad essere inseguito da un viados
muscoloso con katana avevo un certo effetto. Se faccio questo in
Tulpa oggi in sala la gente si mette a ridere. Se la Gerini mostra
una tetta poi, la gente si lamenta che non ne mostri due (e qui sono
d'accordo con loro però, se dichiari di fare un film ad alto tasso
erotico qualcosa di minimamente erotico dovresti avere l'onestà
intellettuale di metterla, non solo fumi, fruste e statuette di
Buddha a coprire graficamente la visione di una singola, sola tetta).
Forse erano tempi in cui bastava meno per creare una atmosfera
horror e oggi, in tempi di "Martyrs" e "Fronteres", di "Human centipede" e "A Serbian Movie" la gente ha già visto tutto, troppo, e stupire con
un paio di tendine rosse e un viados con katana diventa assai
difficile. Ma io da dinosauro ancora apprezzo le meccaniche di come
“si sapeva spaventare” nel passato e spesso trovo nella vecchia
scuola spunti di maggiore interesse, forse perché legati a momenti
storici che maggiormente sento miei. Allo stesso modo mi tocca
sentire poi gente che guarda l'Esorcista oggi e decreta “che
cazzata”, per poi elogiarmi "Paranormal Activity" che, per carità,
non è un brutto film. Pure a me che sono nato con Goldrake fa
perdere i sensi sapere che c'è gente che è andata al cinema a
vedere "Pacific Rim" e non gli è piaciuto perché “non capisce
l'utilità di mostri e robottoni”, ma è un dato di fatto, sono
tempi diversi, generazioni diverse. Forse è questo il principale
limite della nuova stagione horror-gialla italiana, il legarsi
nostalgicamente a un passato che non sa più raccontare e
imbrigliare le paure del presente. Perfino un film come "Paura" dei
Manetti visto negli anni '70 per me aveva qualcosa di più da dire ai
più. E Tulpa ricade un po' in questo limbo di “best choise for old
horror nerd”, un film che guarda a una nicchia, pur felice di
essere tale, ma che non ha unghie per colpire duro le nuove
generazioni. Ricordo ancora quando mia sorella vide "Psicho" la prima
volta, ricordo il momento in cui avviene lo svelamento dell'assassino
attraverso l'atto di girare una sedia sulla quale di spalle è seduta
la signora Bates. Lei si è messa a ridere. La paura è un concetto
molto malleabile e influenzabile dei tempi. Pippozzi a parte "Shadow" era qualcosa di diverso, non dico innovativo ma sicuramente
suggestivo e degno di nota. Tulpa è l'atto di amore di un nostalgico
del cinema che fu, adatto ai nostalgici che comunque sotto una certa
luce gli vorranno bene anche al di là di ingenuità e difetti più o
meno evidenti della pellicola. Poteva essere di più. Ma
chissenefrega, mi sono divertito. In attesa del terzo film di
Zampaglione, con affetto.
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