Recensione
Spazio. La
missione consiste nell'implementare su un satellite un componente
studiato originariamente per la cura medica, una maxi lente che
consente di migliorare l'occhio dallo spazio per meglio osservare la Terra. Utile per sbirciare la privacy, ottimo come upgrade bellico. Il
piccolo gruppo di cosmonauti inviati per la missione deve arrivare
con uno shuttle, agganciare al satellite il nuovo componente con una
passeggiatina spaziale in tutta sicurezza, tornare a casa. Niente
minacce aliene, niente pazzoidi, niente roba complicata. Una missione
di routine. E tutto è così sicuro che l'astronauta Kowalski (George
Clooney) assiste direttamente nel montaggio la progettista del nuovo
up-grade, la dott.ssa Stone (Sandra Bullock), mentre il resto
dell'equipaggio cazzeggia o poco più. Curiosità dalla rete:
Millando sul tema Clooney + satelliti ho trovato una notizia curiosa
e inquietante da una mia spulciata in google (e quindi affidabilità
dubbia sull'info). Pare che George Clooney con i soldi della
Nespresso finanzi il mantenimento di un satellite volto a controllare
gli spostamenti di terroristi nel Sudan! Roba da Batman quasi!! Altro
che Ben Affleck... Vi metto il link..
http://news.in-dies.info/2013/08/04/4280/
.
Torniamo a noi. Bullock e Clooney nello spazio.
Torniamo a noi. Bullock e Clooney nello spazio.
Ma quando a
Hudson, base delle operazioni, c'è Ed Harris (in voce nella versione
in lingua originale di Gravity), come anche in Apollo 13, a
comunicare con gli astronauti, le cose vanno sempre male. La missione
di routine è concomitante con le pulizie di primavera del programma
spaziale russo. Gli elettori di Putin vogliono liberarsi di molta
della spazzatura spaziale sedimentata da anni e invece di fare la
raccolta differenziata decidono di sparare missili contro loro
satelliti in disuso. Come conseguenza detriti di roba russa schizzano
veloci come pallottole sulla altitudine della maggior parte delle
strutture spaziali terrestri, distruggendo quasi tutto e puntando
dritti dritti sulla missione di routine di Clooney e Bullock. La
tragedia è però solo all'inizio. E non sono passati nemmeno 5
minuti di film.
Gravity esplora
il legame tra uomo e le stelle. È sogno di tutti gli astronauti riuscire la superare il cordone ombelicale con la Terra, la forza di
attrazione terrestre superata la quale si ha accesso al resto
dell'universo. Ma forse per il fatto che attualmente non si può
andare troppo lontano alla scoperta di strani nuovi mondi (Star Trek
cit.) il posto più bello dove andare rimane casa, il nostro pianeta
azzurro mai tanto bello come visto dallo spazio. Ed è bellissimo
come la pellicola tra mille apparecchiature e amenità spaziali
perfettamente riprodotte e pulsanti di ingranaggi si prenda tutto il
suo tempo a farci rimirare la Terra cullati sulle note di una dolce
melodia al pianoforte. Da 2001 Odissea nello spazio in poi la
contemplazione del grande silenzio cosmico risulta ancora
un'esperienza da brivido e la nuova tecnologia tridimensionale
amplifica a dismisura l'immersività nella scena.
Se una cornice
così sontuosa ci dà la possibilità di perderci nell'infinito,
l'ottima sceneggiatura esplora la dualità, il conflitto interiore
umano, tra vivere sulla Terra o scegliere lo spazio. Il cuore
dell'opera ruota su due soli personaggi, scampati fortunosamente a un disastro. Il loro rincorrersi, comprendersi e accettarsi
reciprocamente è la massima attrattiva della pellicola di una
pellicola che eccelle quasi in ogni suo aspetto.
Perché scegliere
lo spazio? Lo spazio è lontano dalle miserie terrene, è la massima
via di fuga dai dolori del quotidiano. Spesso non si cerca davvero
una nuova meta, basta essere riusciti a “perdersi altrove”. Questo
vale tanto per gli astronauti quanto per gli amanti della
fantascienza, fateci caso. Perché è un luogo nuovo, libero,
inesplorato. In senso lato possiamo vedere lo spazio anche come
l'autodeterminazione, il “proprio spazio”, la
tendenza-sopravvivenza che spesso spinge l'uomo a buttarsi a
capofitto nel lavoro o nelle passioni pur di sfuggire alle meccaniche
della vita di tutti i giorni, alle interazioni con le altre persone,
ai dolori quotidiani della vita. Questa “voglia di spazio” è
perfettamente incarnata nella pellicola dal personaggio della
Bullock, la dottoressa Stone. La sua missione nello spazio ha lo scopo
principale di scollegarla, almeno un po', dalla Terra, permette alla
sua mente di prendere una pausa da un passato-ancora-presente
doloroso.
Perché vivere
sulla Terra? Forse per paura dello spazio e del suo vuoto ma anche
perché nello “spazio”, lontani da casa, ci siamo stati e dopo
aver esplorato piccola parte del mondo ci manca qualcosa. Il
personaggio di Clooney, l'astronauta Kowalski, è questo. Un veterano
che per essere stato troppo lontano, troppo “nello spazio” ha
perso la vita che aveva sulla Terra, ha visto i suoi affetti sparire
e affievolirsi allo stesso tempo in cui lui stesso diveniva lontano,
quasi un fantasma, per i suoi cari come per i colleghi. Forse anche
Kowalski stesso è come un relitto spaziale che piuttosto che
riportare dolorosamente in orbita si preferirebbe abbattere con un
missile e dimenticarsene. Pur nel rimpianto il personaggio di Kowalki
vuole riuscire a tornare, anche simbolicamente, riuscire almeno a
significare qualcosa per qualcuno. Poi le carte si scompigliano, i
detriti russi portano a scelte estreme di vita o morte e deve essere
rivalutato il peso delle proprie scelte di vita. Ma forse non serve
cambiare quando si è già scelta una via radicale, quando si è già
scelto un proprio indirizzo di vita. Ma cambiare può portare anche
a una rinascita e non è detto che sia male.
Questa dualità è
magnificata tanto psicologicamente quanto visivamente proprio dalle
forze di attrazione, confini fisici-mentali con cui fanno i conti i
due protagonisti costantemente. Ogni avvicinamento tra i due come
alla complessa strumentazione spaziale provoca letteralmente dolore
da impatto, un attimo prima tutto galleggia nel vuoto e un momento
dopo si sbatte violentemente contro una superficie rischiando di
perdere una presa difficilmente ottenuta con una sorta di colpo di
frusta che riporta verso il placido galleggiare cosmico. Un
personaggio vuole perdersi e cadendo nella disperazione del nulla
vuole stare lontano dalla Terra, almeno inconsciamente, in quanto non
ha più “nulla” sulla Terra. Un personaggio vuole tornare e
convincere l'altro a volerlo altrettanto, perché la disperazione è
inutile e il mondo può essere meraviglioso come è meraviglioso
anche solo vederlo dallo spazio. Meraviglioso. Ma come non ti accorgi
che questo mondo sia meraviglioso? ( Modugno, Negramaro, cit.)
Se tutto quanto
sopra esposto può ragionevolmente farvi pensare a una messa in scena
diluita, quasi teatrale, una istantanea statica di uno spazio cosmico
delineato dai confini fisici dello schermo come della pellicola fin
dal trailer dovete ricredervi. Gravity è un film sulla velocità in
cui gli eventi capicollano frenetici sui sensi stessi degli
spettatori. Perché il linguaggio visivo parla tanto di corpi che
galleggiano nel nulla da contemplare in assurde rotazioni rallentate,
quanto di frenetiche corse all'esterno e all'interno di strutture
spaziali di salvataggio-speranza, dove tutto in un attimo diviene
precario e pericoloso. La pellicola procede a passo di valzer tra
questi due limiti con una musicalità che affascina i sensi,
irretisce e sorprende, spaventa.
Ve lo dico con
lucida certezza: Gravity è il film che sfrutta al meglio la
tecnologia 3d, la eleva da strano orpello e la porta a costituire
effettivamente qualcosa di significativo per l'economia di uno
spettacolo visivo. Tutto è concepito per “venirvi addosso”, ma
l'aspetto che più vi colpirà è che è un approccio sensato,
corretto di vedere le cose. I movimenti in cui si vede l'azione dalla
soggettiva dei protagonisti sono straordinari, ma assisterete anche a
scene in cui vedrete un protagonista piangere con lacrime che sospinte
dalla assenza di gravità galleggeranno in 3d verso di voi. Qualcosa
di difficile da descrivere al meglio ma che bisogna provare e provare
obbligatoriamente in 3d.
Cuaròn si
conferma il regista straordinario che abbiamo già conosciuto ne "I
figli degli Uomini", un artista forse poco prolifico, ma perfezionista
e risplendente di luce propria tra i più grandi nomi della
cinematografia odierna. In Gravity riversa il suo amore per i piani
sequenza lunghissimi, al punto che tutto il film può essere visto
come un unico, complessissimo piano sequenza. La scrittura, opera di
Cuaròn stesso, del fratello Jonas e dello stesso Clooney è un
perfetto ingranaggio che dosa con precisione azione, sentimenti,
dramma. Gli interpreti sono semplicemente straordinari e danno vita a
personaggio che da subito avvertiamo come reali, autentici. La musica
di Steven Price sa essere potente e inquieta quanto dolce come una
ninna nanna, contribuisce in modo evidente all'impatto emotivo
dell'opera e sa essere quando serve non invadente, donando
credibilità agli effetti sonori.
In genere non
guardo oltre al mio orticello. Se un film mi piace sono contento e
non scelgo una pellicola in relazione ai premi che ha vinto in
concorsi e manifestazioni vari. Gravity è eccelso, una pellicola che
entra sottopelle dopo la visione, un film che anche visto una sola
volta nella vita va bene. Spero ad ogni modo che piovano sull'ultima
pellicola di Cuaròn centinaia di statuette. Se le merita.
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