sabato 19 ottobre 2013

Gravity

Recensione


Spazio. La missione consiste nell'implementare su un satellite un componente studiato originariamente per la cura medica, una maxi lente che consente di migliorare l'occhio dallo spazio per meglio osservare la Terra. Utile per sbirciare la privacy, ottimo come upgrade bellico. Il piccolo gruppo di cosmonauti inviati per la missione deve arrivare con uno shuttle, agganciare al satellite il nuovo componente con una passeggiatina spaziale in tutta sicurezza, tornare a casa. Niente minacce aliene, niente pazzoidi, niente roba complicata. Una missione di routine. E tutto è così sicuro che l'astronauta Kowalski (George Clooney) assiste direttamente nel montaggio la progettista del nuovo up-grade, la dott.ssa Stone (Sandra Bullock), mentre il resto dell'equipaggio cazzeggia o poco più. Curiosità dalla rete: Millando sul tema Clooney + satelliti ho trovato una notizia curiosa e inquietante da una mia spulciata in google (e quindi affidabilità dubbia sull'info). Pare che George Clooney con i soldi della Nespresso finanzi il mantenimento di un satellite volto a controllare gli spostamenti di terroristi nel Sudan! Roba da Batman quasi!! Altro che Ben Affleck... Vi metto il link.. http://news.in-dies.info/2013/08/04/4280/
Torniamo a noi. Bullock e Clooney nello spazio.
Ma quando a Hudson, base delle operazioni, c'è Ed Harris (in voce nella versione in lingua originale di Gravity), come anche in Apollo 13, a comunicare con gli astronauti, le cose vanno sempre male. La missione di routine è concomitante con le pulizie di primavera del programma spaziale russo. Gli elettori di Putin vogliono liberarsi di molta della spazzatura spaziale sedimentata da anni e invece di fare la raccolta differenziata decidono di sparare missili contro loro satelliti in disuso. Come conseguenza detriti di roba russa schizzano veloci come pallottole sulla altitudine della maggior parte delle strutture spaziali terrestri, distruggendo quasi tutto e puntando dritti dritti sulla missione di routine di Clooney e Bullock. La tragedia è però solo all'inizio. E non sono passati nemmeno 5 minuti di film.
Gravity esplora il legame tra uomo e le stelle. È sogno di tutti gli astronauti riuscire la superare il cordone ombelicale con la Terra, la forza di attrazione terrestre superata la quale si ha accesso al resto dell'universo. Ma forse per il fatto che attualmente non si può andare troppo lontano alla scoperta di strani nuovi mondi (Star Trek cit.) il posto più bello dove andare rimane casa, il nostro pianeta azzurro mai tanto bello come visto dallo spazio. Ed è bellissimo come la pellicola tra mille apparecchiature e amenità spaziali perfettamente riprodotte e pulsanti di ingranaggi si prenda tutto il suo tempo a farci rimirare la Terra cullati sulle note di una dolce melodia al pianoforte. Da 2001 Odissea nello spazio in poi la contemplazione del grande silenzio cosmico risulta ancora un'esperienza da brivido e la nuova tecnologia tridimensionale amplifica a dismisura l'immersività nella scena.
Se una cornice così sontuosa ci dà la possibilità di perderci nell'infinito, l'ottima sceneggiatura esplora la dualità, il conflitto interiore umano, tra vivere sulla Terra o scegliere lo spazio. Il cuore dell'opera ruota su due soli personaggi, scampati fortunosamente a un disastro. Il loro rincorrersi, comprendersi e accettarsi reciprocamente è la massima attrattiva della pellicola di una pellicola che eccelle quasi in ogni suo aspetto.
Perché scegliere lo spazio? Lo spazio è lontano dalle miserie terrene, è la massima via di fuga dai dolori del quotidiano. Spesso non si cerca davvero una nuova meta, basta essere riusciti a “perdersi altrove”. Questo vale tanto per gli astronauti quanto per gli amanti della fantascienza, fateci caso. Perché è un luogo nuovo, libero, inesplorato. In senso lato possiamo vedere lo spazio anche come l'autodeterminazione, il “proprio spazio”, la tendenza-sopravvivenza che spesso spinge l'uomo a buttarsi a capofitto nel lavoro o nelle passioni pur di sfuggire alle meccaniche della vita di tutti i giorni, alle interazioni con le altre persone, ai dolori quotidiani della vita. Questa “voglia di spazio” è perfettamente incarnata nella pellicola dal personaggio della Bullock, la dottoressa Stone. La sua missione nello spazio ha lo scopo principale di scollegarla, almeno un po', dalla Terra, permette alla sua mente di prendere una pausa da un passato-ancora-presente doloroso.
Perché vivere sulla Terra? Forse per paura dello spazio e del suo vuoto ma anche perché nello “spazio”, lontani da casa, ci siamo stati e dopo aver esplorato piccola parte del mondo ci manca qualcosa. Il personaggio di Clooney, l'astronauta Kowalski, è questo. Un veterano che per essere stato troppo lontano, troppo “nello spazio” ha perso la vita che aveva sulla Terra, ha visto i suoi affetti sparire e affievolirsi allo stesso tempo in cui lui stesso diveniva lontano, quasi un fantasma, per i suoi cari come per i colleghi. Forse anche Kowalski stesso è come un relitto spaziale che piuttosto che riportare dolorosamente in orbita si preferirebbe abbattere con un missile e dimenticarsene. Pur nel rimpianto il personaggio di Kowalki vuole riuscire a tornare, anche simbolicamente, riuscire almeno a significare qualcosa per qualcuno. Poi le carte si scompigliano, i detriti russi portano a scelte estreme di vita o morte e deve essere rivalutato il peso delle proprie scelte di vita. Ma forse non serve cambiare quando si è già scelta una via radicale, quando si è già scelto un proprio indirizzo di vita. Ma cambiare può portare anche a una rinascita e non è detto che sia male.
Questa dualità è magnificata tanto psicologicamente quanto visivamente proprio dalle forze di attrazione, confini fisici-mentali con cui fanno i conti i due protagonisti costantemente. Ogni avvicinamento tra i due come alla complessa strumentazione spaziale provoca letteralmente dolore da impatto, un attimo prima tutto galleggia nel vuoto e un momento dopo si sbatte violentemente contro una superficie rischiando di perdere una presa difficilmente ottenuta con una sorta di colpo di frusta che riporta verso il placido galleggiare cosmico. Un personaggio vuole perdersi e cadendo nella disperazione del nulla vuole stare lontano dalla Terra, almeno inconsciamente, in quanto non ha più “nulla” sulla Terra. Un personaggio vuole tornare e convincere l'altro a volerlo altrettanto, perché la disperazione è inutile e il mondo può essere meraviglioso come è meraviglioso anche solo vederlo dallo spazio. Meraviglioso. Ma come non ti accorgi che questo mondo sia meraviglioso? ( Modugno, Negramaro, cit.)
Se tutto quanto sopra esposto può ragionevolmente farvi pensare a una messa in scena diluita, quasi teatrale, una istantanea statica di uno spazio cosmico delineato dai confini fisici dello schermo come della pellicola fin dal trailer dovete ricredervi. Gravity è un film sulla velocità in cui gli eventi capicollano frenetici sui sensi stessi degli spettatori. Perché il linguaggio visivo parla tanto di corpi che galleggiano nel nulla da contemplare in assurde rotazioni rallentate, quanto di frenetiche corse all'esterno e all'interno di strutture spaziali di salvataggio-speranza, dove tutto in un attimo diviene precario e pericoloso. La pellicola procede a passo di valzer tra questi due limiti con una musicalità che affascina i sensi, irretisce e sorprende, spaventa.
Ve lo dico con lucida certezza: Gravity è il film che sfrutta al meglio la tecnologia 3d, la eleva da strano orpello e la porta a costituire effettivamente qualcosa di significativo per l'economia di uno spettacolo visivo. Tutto è concepito per “venirvi addosso”, ma l'aspetto che più vi colpirà è che è un approccio sensato, corretto di vedere le cose. I movimenti in cui si vede l'azione dalla soggettiva dei protagonisti sono straordinari, ma assisterete anche a scene in cui vedrete un protagonista piangere con lacrime che sospinte dalla assenza di gravità galleggeranno in 3d verso di voi. Qualcosa di difficile da descrivere al meglio ma che bisogna provare e provare obbligatoriamente in 3d.
Cuaròn si conferma il regista straordinario che abbiamo già conosciuto ne "I figli degli Uomini", un artista forse poco prolifico, ma perfezionista e risplendente di luce propria tra i più grandi nomi della cinematografia odierna. In Gravity riversa il suo amore per i piani sequenza lunghissimi, al punto che tutto il film può essere visto come un unico, complessissimo piano sequenza. La scrittura, opera di Cuaròn stesso, del fratello Jonas e dello stesso Clooney è un perfetto ingranaggio che dosa con precisione azione, sentimenti, dramma. Gli interpreti sono semplicemente straordinari e danno vita a personaggio che da subito avvertiamo come reali, autentici. La musica di Steven Price sa essere potente e inquieta quanto dolce come una ninna nanna, contribuisce in modo evidente all'impatto emotivo dell'opera e sa essere quando serve non invadente, donando credibilità agli effetti sonori.

In genere non guardo oltre al mio orticello. Se un film mi piace sono contento e non scelgo una pellicola in relazione ai premi che ha vinto in concorsi e manifestazioni vari. Gravity è eccelso, una pellicola che entra sottopelle dopo la visione, un film che anche visto una sola volta nella vita va bene. Spero ad ogni modo che piovano sull'ultima pellicola di Cuaròn centinaia di statuette. Se le merita. 
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