Tra le luci artificiali di una quasi futuristica Parigi notturna dei giorni nostri, muovendosi veloce e sicuro tra il traffico e mille consegne da effettuare in pochissimo tempo, vive e “sopravvive” il giovane rider Souleymane (Abou Sangare).
Sorride, meticoloso nelle consegne e gentile con i clienti. Niente ritardi.
È riuscito ad avere una bici e un lavoro “affittando” l’identità di Emmanuel (Emmanuel Yovanie), un traffichino che si prende buona parte dei ricavato e non offre molte garanzie, ma la paga è comunque buona.
Mentre pedala, Souleymane cerca di imparare a memoria una complicatissima “supercazzola” per ottenere l’asilo politico, ascoltando in cuffia e ripetendo più volte i vocali registrati dal pignolo Barry (Alpha Oumar Sow). Deve apparire come un credibile “martire politico” in un imminente “esame” della commissione preposta, deve ricordarsi nel dettaglio i mille aspetti della “sua” storia. L’organigramma, iniziative legislative e un interminabile elenco di date, luoghi e cenni biografici che lo rendano credibile, come membro di un partito al quale in realtà non ha mai aderito. Una bugia a fin di bene, per togliersi dalla strada.
La documentazione e le lezioni di Barry inoltre si pagano, ma il futuro non ha prezzo.
Ogni giorno, in alternativa, bisogna prenotare a un numero verde tutti i servizi di assistenza a cui ha diritto come migrante: l’autobus che porta al centro di accoglienza, la branda dove dormire con la presa per ricaricare il cellulare, il pasto, i due minuti di doccia. Tutto deve funzionare alla perfezione e le telefonate da casa, della mamma e della sua ex ragazza, spesso “deconcentrano”, mettono troppa malinconia.
La mamma è sempre più malata, la ragazza è stata promessa in sposa a un architetto brutto. Souleymane può solo correre, fino a che, inevitabilmente, non inizia a schiantarsi a ripetizione in mille imprevisti.
Un cuoco gourmet che lo segnala perché gli ha messo “troppa pressione”. Un tizio che lo investe rompendo il motorino interno della bici: distruggendo il pasto da consegnare, facendogli un gran male e costringendolo ad arrancare solo con la forza delle gambe, sbilenco. Una donna che vedendolo ammaccato dopo l’incidente non vuole pagare la consegna, l’ennesima sospensione degli accrediti per irregolarità del profilo di Emmanuel, che forse subaffitta i suoi dati pure a terzi.
Resistere, fino alla fine.
Almeno fino all’esame per il diritto l’asilo, davanti a una “pratica e disincantata” responsabile dell’OFPRA (Nina Meurisse). Da fare bene, con le parole giuste e senza destare sospetti, ricordando tutto e magari cercando di commuovere con la giusta enfasi. Poi si può girare pagina e capire se il sogno di lasciare la Guinea per fare fortuna in Francia ha davvero avuto senso.
Ha quasi il ritmo e i tempi di un action alla Luc Besson, ma anche tutta la profondità e il realismo di un film drammatico e profondamente “politico” come quelli di Ken Loach, la piccola grande epopea di un Rider dei giorni nostri, scritta con maestria da Boris Lojkne insieme a Delphine Agut.
È un film che il bravissimo Abou Sangare “vive di corsa”, inseguendo un personaggio carico di dignità e forza d’animo, seppur titanicamente irrisolto e in cerca di una quiete impossibile. Tre giorni da incubo, dall’alba al tramonto, per lo più sotto le luci notturne di una Parigi alla Blade Runner particolarmente cinica e crudele, ma a tratti anche inaspettatamente romantica.
Tre gironi in non-luogo, una “infinita strada asfaltata”, percorsa da infinite regole e limiti da seguire alla lettera e in tempi e luoghi contingentati. Una strada sulla quale cadere fa male, alla bici come all’anima, pur se ai margini del tragitto si può trovare “anche” una città cordiale. Piena di persone che vogliono aiutare gli altri “nonostante tutto”, piena di fiducia e rispetto.
Parigi (ma potrebbe essere Milano), ci appare così simile a una città-chimera, accogliente quanto respingente, dove il sudore e l’impegno si trasformano in un futuro che appare fragile come un castello di carte. Un futuro dal quale, nonostante mille incertezze, non ci si può più “staccare”.
Non si va via perché a volte il sogno di una vita nuova sembra davvero a portata di mano, magari raccontando a qualcuno una “storia” che suona come una lunga e complessa “formula magica”, un abracadabra burocratico.
Non si va via da Parigi, rimanendo per sempre ai suoi margini, anche perché schiacciati dal fallimento: per la “vergogna” di tornare a casa senza essere riusciti a cambiare la propria esistenza e di conseguenza quella dei propri cari. Seguire le regole per diventare cittadini di questa “terra promessa” appare spesso troppo difficile. Non seguire le regole può diventare un'attrazione incredibilmente semplice: quasi una questione di “sfumature”.
La storia di Souleymane è un film che ragiona con estrema praticità e pragmatismo su una realtà che accomuna ormai tantissimi migranti in tutta Europa.
Non gira intorno ai problemi e non vende “facili sogni politici di integrazione”, anche perché la trama è stata costruita sulla base di racconti di esperienze dirette: raccogliendo le voce di testimoni, servizi sociali e migranti stessi. Si parla di luoghi di accoglienza reali, documentazioni richieste e procedure, come ritmi di lavoro e tempi d’attesa, reali.
Proprio sapendo giocare con i generi della settimana arte, il cinema di Boris Lojkne e il talento di un grande interprete come Abou Sangare riescono a raccontare la migrazione, meglio di mille articoli di cronaca, meglio della retorica di troppe “favole accomodanti”.
È una pellicola preziosa, che fa incazzare ma anche riflettere, sapendo mettere per una volta lo spettatore, senza retorica, davvero nei panni di quelli che oggi possono essere definiti, senza troppi giri di parole, gli “schiavi” del ventunesimo secolo.
È giusto che il cinema inizi a raccontare queste realtà, anche attraverso il recente e bellissimo Madame Luna di Daniel Espinoza, anche attraverso il magnifico Gli Indesiderabili di Lady Ly. Anche Ken Loach ci ha parlato di recente del “mondo delle consegne a domicilio” con Sorry We miss you del 2019 e di “difficile integrazione” con The Old Oak nel 2023.
È importante che anche per tramite di opere come queste le presenti e future generazioni, insieme alle istituzioni riescano, possano trovare i giusti “stimoli emotivi” per arrivare a soluzioni più eque, per un mondo migliore.
La storia di Souleymane è un piccolo gioiello da vedere e capire.
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