Fine
di una ipotetica “stagione 1”
Chi
è frequentatore di queste pagine da vecchia data forse ha letto
della mia inaspettata passione per un fumetto Bonelli verso il quale
in passato avrei riversato la stessa attenzione che in genere dedico
all'andamento del campionato di hockey a rotelle argentino. Con la
senescenza sempre più incipiente che favellare mi reca in codesto
imbecille idioma, le mie attenzioni allo scaffale dei classici si
sono fatte misteriosamente maggiori e, assurdo a dirsi, il grande Tex
Willer ha fatto breccia nel mio cuore, colpa e merito della vagonata
di morti ammazzati che miete a ogni numero, roba che Terminator è da “Cioè” (ma lo pubblicheranno ancora Cioè? Si vede che
sono vecchio, vecchio dentro..). Tra tutti i morti ammazzati vestiti
per lo più con camicie da boscaiolo e sombrero, l'occhio per forza
di cose ha iniziato a cadere sui paesaggi, sulle immense praterie, i
canyon, elargendomi manate e manate di suggestioni country. Io ora
se non mangio almeno una volta al mese in qualche catena
pseudo-western una bistecca alla brace sono in grado di fare una
strage e se mi parlate di indiani americani non mi addormento, ma anzi
rispondo più o meno con cognizione di causa, per lo più citando i
Litfiba ma che volete farci, è una passione che sto sviluppando
ancora da poco e a mettermi a leggere Braschi per ora ancora non ci
penso. Credo che appenderò un poster di Toro Seduto prima o poi, per
dare un tocco di stile allo studio. In questo mood mi è quindi
capitato grande cactus, cioè Saguaro: western metropolitano anni '70 con reminiscenze di film dell'epoca, protagonista un indianone
grosso e cattivo e pure reduce del Vietnam. Folgorazione.
Pochi anni
or sono detestavo tutte le frangette, bandanine, scarpettine di cuoio
e capelli hippy. Odio tuttora incondizionatamente L'ultimo dei
Mohicani e il suo bolsissimo attore. Ho abbandonato Magico Vento per
sopraggiunta demolizione testicolare causata da mille inutilissimi
dettagli sulla vita indiana e su una trama che si prometteva fantasy
ma paccava clamorosamente sulla lunga distanza. Ho sempre considerato
T.Hawk il personaggio di Street Fighters più lento e sfigato di tutti
i tempi. Ma adoro Saguaro. Non quanto Tiger jack ma quasi. Una idea
vincente è stata quella di sviluppare la storia finora narrata come
un unico affresco, una trama unica con varie sotto-trame a
caratterizzare i singoli episodi. È dal numero 1 che sappiamo che il
piccolo e insopportabile Phelipe... o Miguel... o Cicinho... insomma, il
foçççto e palloso pupetto messicano doveva andare a deporre ad un
processo contro un pezzo grosso della mala locale. Finora non
sapevamo l'assurda dovizia di dettagli che conosceva in merito il
piccolo fetente, così precisi da far pensare che sia lui la mente
criminale dietro a tutto. Grande Cactus ha avuto tra i piedi la
piccola palla messicana per quasi tutte le storie, ma da grande uomo
come solo pochi riescono a esserlo nella narrativa Bonelli, ha
sempre trovato il tempo per sbattersene, abbandonarlo in autostrada,
rifilarlo a bande di spacciatori, vendere al mercato nero i suoi
piccoli organi. E il piccolo non cedeva mai, con il suo amore deviato
per i pettorali navajo. Mai visto un simile attaccamento bonelliano
dai tempi della fidanzata di martin Mystère, la bionda anni ottanta
che il nostro puntualmente cornifica a ogni numero speciale con la
solita ballerina di lap dance svampita. Ma Saguaro nulla, non ci
gioca manco a biglie e in un numero cerca quasi di farlo assassinare
da dei sicari (io sono certissimo che lo abbia fatto apposta a
prendere quel treno, così come a smerdare gli eventi per rendere il
piccolo bastardo più visibile possibile agli occhi dei cecchini).
Del resto lo stesso padre di Marcellino... Phelipe... Ignatio o quello
che è, appena ha potuto ha venduto il pargolo a degli spacciatori,
motivo per il quale ora è diventato grande amico di Saguaro.
Capitolo moccioso a parte, Saguaro si dimostra un vero duro, non
semplicemente uno che prima picchia e poi pensa , ma uno che prima
picchia e poi picchia. Amici, nemici, comprimari, animali di
passaggio lui pensa male, si comporta male e picchia di brutto
chiunque gli capiti a tiro, spesso senza neanche un perché. Hai
voglia a contestualizzare, a dire “il razzismo è nell'aria”,
Saguaro è un tipaccio molesto alla Lobo che entra negli edifici,
compreso il suo ufficio, spaccando la porta a calci. I suoi migliori
amici sono di fatto vittime predestinate che cercano di rabbonirlo
perché sanno che presto o tardi quel tavolo in mogano arriverà
contro la loro testa. Ma una donna ha il cuore che batte solo per
Saguaro. É Kay e si veste come una monaca di clausura perché sa che
il nostro se anche solo le vedesse una spallina discendere la spalla
partirebbe con lo stupro pubblico. Per Kay Saguaro nasconde un cuore
di panna... no questa la cambio o sono soggetto a visto censura. Per
Kay Saguaro nasconde un cuore tormentato, lui stesso le ha raccontato
che nei suoi sogni suo padre, un bianco, fa fuori in una specie di
rievocazione storica, tutti gli indiani della terra e anche lui si
sente un po' così. Lei sa che può cambiarlo. Ci sono gruppi di
preghiera per la sorte di Kay su molti forum della Bonelli. Ma Grande
Cactus non è solo al mondo, nessun uomo è un'isola, scriveva
qualcuno.
E così ecco Cobra Ray, il suo amico commilitone dei tempi
del Vietnam, uomo che Saguaro ha quasi arso vivo. La trama farebbe
intendere che fosse una reazione alle brutalità di Ray nei confronti
dei contadini Vietcong indifesi, l'analisi più accurata del
carattere di Saguaro fa intendere che il nostro, che quando gli
girano non capisce più nulla, l'abbia brasato per noia. Cobra Ray è
un assassino spietato dall'indubbio carisma, con il viso sfigurato
dalla bocca in giù, ma rispetto a Saguaro è quasi l'eroe morale del
fumetto: ha una trama distrutta alle spalle, una famiglia che ama, ma
da cui non può tornare, fa fuori i cattivi, cosa che in genere i
buoni non fanno, e anche per questo ci piace. Stagione 1 finita. Da
agente dell'Fbi, sezione mediazione culturale armata con i nativi,
Saguaro ora si trova ricercato per un crimine che non ha commesso, ma
che per come si muove di solito il nostro nessuno dubita abbia
commesso, la stessa madre se ci fosse la penserebbe così. Tiriamo le
somme. A scanso di equivoci, Saguaro è un fumetto che merita, e
molto. Non è esattamente così estremo come l'ho descritto (per
amore di cazzeggio), ma è sicuramente un'opera originale, ben scritta
e dal ritmo incalzante con il merito di fare qualcosa che poco spesso
in Italia si vede, Ratman a parte: sviluppa i personaggi. Non è
qualità da poco, Saguaro “cresce” di numero in numero, ma essendo
un uomo complesso e complicato non sempre prende la strada giusta,
non sempre ha la mira perfetta, non sempre comprende al volo la
situazione e i pericoli. È fallibile. Anche sul lato sentimentale,
devono pesargli quelle mani perennemente sporche di sangue, al punto
da essere quasi anaffettivo, da tenersi alle distanza da chi potrebbe
provare nei suoi confronti un qualsiasi sentimento. Un personaggio
quindi tragico, probabilmente con un destino segnato, che si eleva a
simbolo di un popolo sempre più in via di estinzione, ai margini,
costretto nelle riserve e in gran parte vittima (negli anni '70) di
alcool e gioco d'azzardo, spesso delinquente per necessità.
Oggi le
cose stanno cambiando e in meglio, ma all'epoca era davvero tragica
per i nativi. Con un background così sviluppato sono scaturite
storie molto interessanti, purtroppo agli inizi non benedette da
disegni di elevatissimo livello. Tavole abbozzate, prospettive
fasulle che sono però solo un ricordo ora che tutto fila e tanti
validi disegnatori si avvicendano mensilmente. Non per fare il
cinico, ma dalle premesse non credevo che saremmo arrivato fin qua,
che io avrei continuato fin qua la lettura. E invece Saguaro è uno
dei momenti più belli delle mie letture mensili, un'oretta felice
prima di gustare un controfiletto al sangue.
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