America dei giorni nostri, stato di New Orleans. Gary Johnson (Glenn Powell) è un professore di filosofia e psicologia del liceo, sulla quarantina, dall’aria compassata e forse anonima. Poco appariscente e solitario, incatenato a una vita ordinata e routinaria senza prospettive, vive solo con due gatti, che freudianamente ha chiamato “Ego” e “Es”. Ordinario in tutto, Gary ha un secondo lavoro/hobby che ogni tanto gli regala qualche emozione: aiutare la polizia locale nelle intercettazioni ambientali.
Cura che i microfoni funzionino e registrino, nella piccola sala operativa costruirà all’interno di un anonimo furgone bianco. In genere il furgone si posiziona davanti a una tavola calda, mentre un agente sotto copertura entra nel locale e prende i contatti con un particolare tipo di persona: qualcuno che vuole assoldare un killer.
Tutta New Orleans pullula di persone disposte a ingaggiare un killer a pagamento per le ragioni più disparate. I più insicuri “chiedono in giro” e magari chiedono alle persone “sbagliate”, magari delle “talpe” che lavorano per la polizia, con la conseguenza che si trovano in queste tavole calde piene di microfoni.
Il “cliente” concorda con l’agente che si finge killer un bersaglio da eliminare, avviene un trasferimento di denaro, a mano o su di un conto, un minuto dopo, all’uscita del locale, arriva l’arresto. Con intercettazioni e avvenuta prova di pagamento di un sicario, la polizia può incriminare il cliente come mandante di un omicidio che non si compirà mai.
Qualche volta “la trappola” non funziona, per giudici troppo teneri che considerano i mandanti in fondo come vittime, tenendo conto di possibili “ripensamenti tardivi”, “stati di necessità, “insensibilità dei finti sicari” nell’estorcere un “contratto”.
Ma il gioco va avanti da anni.
Gary fa la sua parte controllando che l’accordo economico si senta bene ai microfoni e questo è quanto; almeno fino a che il poliziotto sotto copertura Jasper (Austin Amelio) deve essere sostituito all’ultimo minuto. Gary accetta. È la cosa più fica che la vita gli ha regalato finora. Truccato pesantemente, con la bozza di una storiella dell’ultimo minuto da raccontare in testa e un microfono nascosto sotto la camicia, l’insegnate di filosofia va in scena nella tavola calda.
Ha l’aria giusta, affabile e non giudicante: “professionalmente truce”. Elenca convincenti quando rodati modi di eliminazione e smaltimento del corpo, tramite ecosostenibili squali o coccodrilli. Esprime cura nel dettaglio, trasuda esperienza.
Convince.
Più di Jasper, che ora è ridotto controvoglia quasi in pre-pensionamento. Gary fa arrestare il cliente, passa con disinvolta al nuovo cliente. Frequenta “professionisti del ramo” per carpirne tutti i seguenti e fascino, colleziona un numero infinito di barbe finte e parrucche, denti prostetici e lenti a contatto colorate, si crea personalità diverse e accenti diversi per ogni nuovo incarico. Ogni tanto come extra si pone come amico, confidente, in qualche caso pure un po’ psicologo. Fare il finto killer gli piace, anche perché è ogni volta una piccola vacanza da se stesso.
Purtroppo un giorno trova qualcuno che gli piace più del suo nuovo lavoro: una bellissima donna maltrattata dal suo compagno, di nome Madison (Adria Arjona). Madison gli appare alla solita tavola calda, mentre “impersona” un killer molto sicuro di sé di nome Ron: un uomo dai modi sexy e quasi sfrontati, all’opposto di quello che l’insegnante di filosofia è stato nei suoi trent’anni di vita.
Gary/Ron prima si commuove e poi si innamora. Capita lo stesso a Madison, in pochi minuti. Il finto killer fa di tutto perché Madison ci ripensi e non lo assoldi, di fatto facendo saltare la “trappola” della polizia, ma al contempo inizia, “come Ron”, una pericolosa frequentazione con lei, all’oscuro di tutti e di tutto. Entrambi amano i giochi di ruolo, “travestirsi” sembrando altre persone, improvvisare vite alternative. Una coppia perfetta.
Jasper, in cerca di riavere il suo posto, è però sempre con il fiato sul collo del professore, alla ricerca del suo primo errore. Anche il manesco marito di Madison è sempre dietro l’angolo: il fatto che Gary/Ron non lo abbia ucciso non ha aiutato molto. La vita di Gary, “come Ron” e al fianco della bellissima Madison, diventa sempre più pericolosa quanto eccitante. Fino a che le parti si scompiglieranno di nuovo e la coppia dovrà decidere, definitivamente, che “ruolo interpretare” nella propria vita.
Ogni film di Linklater costituisce una nuova “scommessa vinta”, su quanto possa scavare nei molti generi della settima settima arte, pur rimanendo sempre fedele a se stesso, con il suo umorismo e le sue ossessioni e sogni. Linklater ci racconta di amori eterni che nascono e finiscono nell’arco di una notte, di bambinoni che non hanno mai smesso di sognarsi rockstar, di uomini che si nascondono tra mille maschere pur di sopravvivere al mondo e darvi un senso.
È un autore incredibilmente “leggero” nella costruzione di una trama, quasi “per tutti”, ma che sa essere al contempo molto dettagliato, quasi psicanalitico, nel tratteggiare i tanti piccoli dettagli con i quali sono costruiti i suoi anti-eroi.
Dettagli piccoli messi lì sullo sfondo per chi ha voglia di coglierli, trasformando ogni visione di un suo film in una riscoperta, una prospettiva sempre diversa.
Qui Linklater scrive a quattro mani con il protagonista del film, un Glenn Powell sempre più bravo, divertente quanto lanciatissimo nel ruolo di nuovo divo di Hollywood, nelle sale anche con il blockbuster estivo Twisters.
Powell lo abbiamo spesso visto come un “mascellone” da action hero, perfetto nei ruoli da militare come da torvo villain dalla scarsa empatia, forse al massimo della forma giusto la versione discount dell’Ice Man di Val Kilmer in Top Gun: Maverick.
Come Charlize Theron per essere “credibile” in Monster ha dovuto mettere da parte il suo fascino da eterna modella di Vogue, per impersonare il dramma umano di una persona comune, Linklater scava qui la mascella quadrata di Powell, smussandola quasi con foga.
I primi “colpi di scalpello” sono quasi inquietanti: Powell, spogliato del sex appeal e inarcuato nella camminata, nei panni dimessi dell’insegnante di liceo Gary, sembra quasi il serial killer Jeffrey Dahmer. È naturalmente il regista stesso a giocare con questa somiglianza, che di colpo ci rende “invisibile” una delle star più sexy di Hollywood, ce lo fa apparire “strano e solo”, “pericoloso”, “ambiguo”. Un altro “mostro” che ha bisogno di maschere per sopravvivere.
Poi Linklater mette a fianco di Powell un'attrice bellissima come Adria Arjona: una femme fatale travestita da vicina di casa carina, grazie alla quale la storia da farsa si trasforma in thriller sexy, un lungo “gioco di ruolo”, tra travestimenti e trasgressione con momenti anche alla Adrian Lyne. Il personaggio di Madison è incasinato quanto quello di Gary e allora sboccia l’amore, sulla base di un “linguaggio comune”, una complicità “sull’arte di mentire” che sa trasformarsi in duetto, reinventando tutto il mondo che sta intorno alla coppia.
Bugia dopo bugia, come bacio dopo bacio.
Come il mondo interno che si trasformava in un “dialogo a due” in Prima dell’alba. La pellicola qui sembra iniziare quasi a “pensare di testa sua”: sono i personaggi a volerla portare avanti romanticamente a loro modo, anche se la trama da farsa, con buffi travestimenti e gag, vuole a tutti i costi diventare un noir serissimo, pieno di sangue vero e morti, dove le scene sentimentali “non sono più previste”.
Una pura invenzione narrativa, una follia a due geniale fino all’epilogo che mette in luce le grandi capacità espressive dei due attori protagonisti, così spontanei e convincenti che sembrano quasi improvvisare ogni loro battuta. Un’ottima prova d’attori in un film dall’animo mutante ma sempre divertente, ben ritmato, tenero quanto terribile, buffo quanto cinico.
Un film dell’identità perennemente nascosta, ispirato da una vicenda incredibile quanto autentica: un articolo, pubblicato sulla rivista Texas Monthly nel 2001, scritto da Skip Hollandsworth. La storia vera su un finto killer operativo tra il 1980 e il 1990, un insegnante comune che forse voleva fare l’attore, diventato per caso l’asso nella manica della polizia locale.
Una storia che parla soprattutto dell’incredibile numero di persone che in America in quegli anni erano disposte a trovare un killer che potesse in qualche modo “cambiargli la vita”, a volte anche in ragione di una giustizia che non funziona, con il risultato che la giustizia così funzionava benissimo nei loro confronti.
Linklater ci tiene molto a raccontarci anche i sogni infranti dei tanti piccoli “clienti” dei falsi Killer: un caleidoscopio umano spesso tragicomico, a volte dai tratti grotteschi ma più spesso dal volto umano quanto disperato. Un piccolo popolo di infelici esasperati trattati dal mondo con “buffa amarezza”. Le indovinate musiche di Graham Reynolds e la fotografia solare - quasi accecante di Shane F. Kelly ci raccontano un “sogno americano” ormai agli sgoccioli, vicino quasi a un western moderno crepuscolare come Non è un paese per vecchi dei Coen.
Hit Man conferma ancora una volta la grande capacità di Linklater di raccontare storie umane complesse, sopra le righe quanto profondamente autentiche, storie gentili quanto disperate.
Powell e la Arjona sono bravissimi e la chimica che si è sviluppata sul set tra i due è quasi palpabile, ma anche il resto del cast svolge un ottimo lavoro.
Linklater si conferma un regista unico, originale quanto profondo, spesso troppo poco considerato e riconosciuto per il suo talento poliedrico. Chissà dove ci porterà la prossima volta.
Talk0
Ottima recensione per un ottimo film, complimenti! Per me Hit Man è la miglior sceneggiatura dell'anno, incredibile che agli Oscar non sia stata presa nemmeno in considerazione...
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