martedì 20 agosto 2024

Deadpool & Wolverine: la nostra recensione del nuovo, esageratissimo, “sboccacciato”, nostalgico e divertente cinecomic Marvel Disney, con protagonisti Ryan Reynolds e Hugh Jackman, per la regia di Shawn “Una notte al museo” Levy.


Sinossi fatta male: Essere una persona migliore per la propria fidanzata Vanessa (Morena Baccarin). Fare qualcosa di grande, utile e senza fare casini, almeno per una volta. In sintesi: “diventare un Avenger”. 

È con questo proposito che Wade Wilson (Ryan Reynolds), alias il mercenario chiacchierone Deadpool, super killer con le pistole quanto all’arma bianca, mutante con fattore di guarigione e possessore di uno strumento per fare balzi dimensionali, si presenta nell’universo 616, alla porta di Happy (Jon Favreau), comandante in sostituzione momentanea del super gruppo. 

Nell’universo di origine di Deadpool le cose non sono andate benissimo con gli X-Men, troppe incomprensioni e giochi di potere, ma nel 616 può essere tutta un'altra vita: a partire da tutine da supereroe più “sgargianti” e “di classe”. 

Certo, il curriculum non aiuta. Wade ha un passato nelle forze speciali rimarchevole ma con svariate e brutte note disciplinari. Ha con spirito aziendalista fondato un  gruppo supereroistico tutto suo, X-Force, ma alla fine il team è rimasto sterminato male sul campo, per manifesta inadeguatezza, dopo la prima missione. Non ha mai giocato in serie A ed è sicuramente un casinista, anche se volenteroso. Forse.

Happy lo rincuora come farebbe con un giocatore di baseball: partire anche nel 616 dalle “serie minori”, aspettare qualche osservatore che ogni tanto verrà a dare un’occhiata, avere costanza. Magari la prima divisione dei supereroi non è così lontana e la pacca sulla spalla, con la quale lo accompagna all’uscita, è solo un arrivederci. 

Wade incassa. 

Passa un sacco di tempo.

Il mercenario Deadpool trova presto, insieme alla sua inseparabile spalla Peter (il sempre baffuto e simpaticissimo Rob Delanay), un lavoro nel suo mondo, come venditore di auto giapponesi familiari ultra-compatte. Un giorno come un altro spegne le candeline del suo ultimo compleanno. Insieme ai suoi 9 più cari amici, tra cui Vanessa, Colosso e la amorevolmente sboccata dirimpettaia Al (Leslie Uggames), esprime un desiderio: fare, ancora, quel “salto di carriera”. 

Un secondo dopo bussano alla porta uomini in divisa eccentrica, armati, che negano di essere spogliarellisti ingaggiati per la festa. La lotta è inevitabile quanto breve, Wade finisce contro un portale dimensionale apparso dal nulla, direttamente davanti a Mister Paradox (Matthew Macfadyen) , un dirigente di zona della fantomatica TVA: la “Time Variance Authority”.  Di che cavolo di realtà fanta/aziendale stiamo parlando? 

Ce lo specificherà presto Wade stesso, direttamente a noi spettatori, rompendo la fantomatica “quarta parete” tra film e platea, nel modo più ultra-nerd e super didascalico possibile. Ci dirà: “è come succede nella puntata 5 della prima stagione della serie tv Loki”. 

I TVA non sono lì per le cretinate che Wade ha combinato in passato col suo congegno incasina-tempo, lo vogliono invece ingaggiare per volare proprio nell’universo 616 a fare l’Avenger! Potrebbe diventare “il nuovo Gesù della Marvel”. È il destino a volerlo laggiù e ci sono dei video inequivocabili della TVA che ritraggono Deadpool a fianco di Thor che piange per lui, dopo una qualche azione eroica del futuro prossimo. 

Certo deve fare fagotto e partire subito, perché il suo universo sta collassando in modo lento e irreversibile, dopo che la creatura a cui più intimamente quella realtà era legata, la cosiddetta “ancora universale”, ha smesso di esistere. Recuperato Deadpool, è possibile per la TVA pure accelerare la distruzione di quell’universo morente, usando un congegno fantascientifico come il “Time Ripper”.  Smaltire presto un universo infruttuoso, comporta un significativo risparmio di costi burocratici per chi deve occuparsene e Paradox punta a vincere un bel bonus in busta paga, se l’operazione riesce.

Wade è allettato dal futuro da Avenger quanto dalla nuova tuta e possibili pistole dorate in abbinato, ma il fatto che la realtà da falcidiare sia la sua, compresi i suoi 9 unici amici, lo rende titubante. Come crede Impossible che sia morta per davvero “l’ancora universale” del suo mondo, che dai video della TVA scopre essere una persona che conoscere da sempre. Si parla del mutante noto come Wolverine (Hugh Jackman), il guerriero semi-immortale dalla pettinatura strana,  il potere della guarigione e lo scheletro in adamantio, l’unico, vero, grande mito di Wade, l’amico/fratello/amante da lui sempre bramato, il simbolo: “L’X-Man” per antonomasia.


Wade temporeggia, usa compulsivamente il congegno per i viaggi spazio/temporali e si trova in un attimo davanti alla bara di fango di Wolverine (esattamente dove lo avevamo lasciato dopo il film Logan - The Wolverine, di James Mangold, del 2017). “L’X-Man per antonomasia” è decisamene morto e i tizi della TVA lo tallonano stretto, armati pesantemente, perché smetta di intralciare i loro piani.

Wade prova in qualche modo a utilizzare il corpo marcito di Wolverine, cercando di “collaborare con lui”, sperando che magari “si ripigli” il fattore di guarigione. Lo usa come un pupazzo contro l’esercito della TVA che intanto crivella entrambi di colpi, lo abbraccia, lo coccola, lo sprona, arriva quasi “a smembrarlo” per utilizzare i suoi famosi artigli o le sue rotule come nunchaku. La tomba di Wolverine diventa sempre più un mattatoio carico di agenti TVA sbudellati nei modi più ridicoli e grotteschi, fino a che Wade decide di andare in un’altra realtà a trovare un nuovo Wolverine, magari uno non ancora marcio. Visita diversi mondi con tantissime citazioni dai fumetti originali, fino a che incontra un Wolverine, depressissimo ma ancora “integro”, forse “il peggiore Wolverine di sempre”, ma l’unico con il quale decide di presentarsi davanti a mister Paradox, per una resa dei conti. Ma Paradox è pronto a questa evenienza e spedisce Deadpool e Wolverine in una realtà alternativa dalla quale non è facile scappare. Un  specie di universo-discarica chiamato “Il Vuoto”, comandato dalla misteriosa super telepate Cassandra Nova (Emma Corrin), che in alcuni multiversi è la sorella malvagia del Professor Xavier, il fondatore stesso degli X-Men. A guardia dell’impero di Nova, in una “Cittadella ai confini del tempo” piena di mutanti che pare il mondo di Mad Max, c’è anche una creatura ancestrale simile a una nuvola minacciosa, di nome Alioth. Alioth può divorare ed estinguere per sempre chi finisce nelle sue fauci, esattamente come nella sopra ricordata puntata numero 5 della prima serie del telefilm Loki. 

Cercando di sopportarsi e collaborare, Deadpool e il Wolverine depresso dovranno farsi largo in questo strano mondo di frontiera, fino a trovare un modo di evadere e salvare l’universo di Wade. Ma non saranno soli. Paradox negli anni ha “inviato a forza” nel Vuoto centinaia di supereroi provenienti da altre dimensioni: qualcuno di molto forte può essere ancora sopravvissuto. E da quelle parti c’è pure un intero esercito costituto solo da Deadpool multidimensionali, tutti ficcati nel vuoto a forza perché sostanzialmente “ingestibili” in ogni realtà in cui sono comparsi. 

Riusciranno i nostri eroi a salvare tutti e far crescere tra loro un legame “molto Bromance”, di sincera “amicizia virile”, come nei classici Buddy Movie anni '80 stile Arma LetaleChi sono i supereroi misteriosi sopravvissi fino ad ora al vuoto? Qualcuno sarà per caso un possibile alleato del magico duo?


La trama, “metatestualmente”parlando: in un’opera qualsiasi che “riguarda Deadpool”, il lettore sa benissimo che il nostro protagonista non si limita a vivere le sue rocambolesche  avventure, ma spesso ama intrattenersi a “discuterne attivamente” con il pubblico. Deadpool non solo è sempre consapevole di essere all’interno del film, videogame o fumetto di cui è protagonista, ma è lui stesso “un fan”. Un fan che parla senza peli sulla lingua agli altri fan, dei film e fumetti che “gli piacciono” o “fanno cagare”, di come i produttori “hanno cannato” un casting, di come li gasi aspettare l’arrivo di una certa scena-clou o una certa frase: qualcosa come “vendicatori uniti”. Esattamente come farebbe un ragazzino di 12 anni “in fissa con i fumetti”, Deadpool salta, spara e sfodera pugnali contro eserciti di nemici da abbattere, costellando ogni narrazione di esagerazioni divertenti sul fatto di “essere fighi”, dando un peso specifico a peti e rutti assortiti, giocando con le parole zozze e tutto quell’immaginario dei “film proibititi per adulti”, un po’ come gli horror che lo Zio Tibia dava negli anni '80 in estate dopo i Festivalbar. 

Deadpool è al cento per cento pruriginoso come un dodicenne, al punto che quasi sentiamo che ha indosso i calzini odorosi mai cambiati in due settimane, sappiamo senza riscontri tecnici che adora la pizza come le tartarughe ninja (per il film hanno fatto non a caso una collaborazione con le pizze giganti da scaldare in forno), ci aspettiamo che inizi a ballare e saltare per la gioia. Noi adulti cinici “sappiamo” che non prenderà mai nulla sul serio “a quell’età”, salvo poi farci ricredere: perché ogni dodicenne che si rispetti, ha un mondo interiore molto più sfumato e malinconico di quanto l’apparenza inganni. Affronta sfide indicibili con il suo corpo e la sua testa. Vive le prime terribili “cotte” e “esami impossibili di matematica”. 

I film di Deadpool sanno sempre essere esagitati e folli, citazionisti dei fumetti in modo quasi enciclopedico, come compete esserlo ai “migliori nerd”, ma in fondo anche film di cuore, film in cui si riflette spesso sulla solitudine, sulla difficoltà di trovare un proprio posto nel mondo, sull’aver fatto la cosa giusta. Anche Ryan Reynolds per proprietà transitiva è un fan dei fumetti e del cinema, nello specifico un fan degli action hero, dei fumetti quanto di Jim Carrey, di cui con tanta buona volontà cerca di seguire le orme. Ma per essere “ancora più Deadpool” e “ancora più dodicenne”, si dice che Reynolds per il suo personaggio si sia ispirato al modo di parlare e di esprimersi di un ragazzino tanto malato quanto fan di Deadpool che ha seguito tutte le riprese del primo film dall’ospedale, con entusiasmo quanto il cinico e spiazzante senso critico del mercenario chiacchierone della Marvel. Reynolds, che come moltissimi di noi dentro si sente pure, ancora oggi, un dodicenne, vestito da Deadpool va ancora gratuitamente in ospedale, a trovare bambini malati. Per confortarli, ma anche per ritrovare lì “veri eroi”  a cui ispirarsi per il suo personaggio.  

Un po’ diverso è il percorso di Hugh Jackman, che invece di diventare sullo schermo il supereroe Wolverine ha sempre preferito recitare nei musical. Si può dire che sono stati i fan e i parenti, nella sua più totale incredulità iniziale, ad averlo accolto a braccia aperte, come uno dei più amati supereroi cinematografici di sempre. Una gratitudine che lui ha ripagato, con allenamenti estenuanti, che lo hanno portato ad avere un fisico scultoreo, nonché con una interpretazione sempre impeccabile, totalmente rispettosa delle mille sfumature, anche nobilmente “drammaturgiche”, dell’eroe cartaceo. 

Il satiro e il tragico, Deadpool e Wolverine, insieme, in un mondo post atomico costruito quasi esclusivamente sulla nostalgia delle vecchie storie a fumetti e vecchi film.

Guardarli sullo schermo, insieme è come guardare un fan che incontra il suo supereroe e non vede l’ora di parlare con lui, fargli mille domande, “combattere insieme”. Ed è esaltante. 

Poi “il gioco si estende”, perché tutta l’intera pellicola e di fatto un continuo incontro del Deadpool-fan con tantissimi eroi e “cattivi” dei film di supereroi dei passato, alcuni davvero amatissimi e noti, altri quasi misconosciuti ma presenti, sia pure come piccole mattonelle, nel “pantheon” di ogni fan dei film dei supereroi che si rispetti. Personaggi da idolatrare e sbeffeggiare secondo dopo secondo, in una continua girandola di battute sarcastiche, a volte cattivissime, proprio come amano i dodicenni. 

Il film è una continua giostra di rimandi e ha un cast davvero incredibile in grado di far sobbalzare sulla sedia, ogni tre minuti, ogni amante dei cinecomics. La trama è semplicissima e come ci viene detto più volte è ispirata all’episodio 5 della prima stagione di Loki, ma la fruizione del film è linearissima e non c’è alcun problema anche se non avete mai visto il suddetto episodio. Ma visto che Deadpool & Wolverine è anche un film metà-cinematografico, Deadpool ci tiene a ricordarci ogni minuto anche la curiosa passione dell’attore di Wolverine per i musical.


Così come il film ci tiene a raccontarci anche che la storia dietro a Deadpool & Wolverine è più che altro “una trollata”: qualcosa che sarcasticamente ha più a che fare con gli addetti ai lavori e la gestione delle licenze cinematografiche dei personaggi Marvel, piuttosto che parlarci della rilettura/riadattamento di una saga già nota ai lettori. In sostanza Disney ha negli anni raccolto la maggior parte delle licenze Marvel, sostanzialmente acquisendo 20th Century Fox, anche se permangono delle limitazioni all’utilizzo di alcuni personaggi come Hulk, legato a pellicole Universal, e al “mondo di Spider-Man”, legato a Sony. 

20th Century Fox è la compagnia che ha prodotto tutti i film degli X-Men e affini, come quello di Wolverine e Deadpool, oltre che i film sui Fantastici 4, Daredevil e The Punisher: un bagaglio di personaggi e film che però Marvel/Disney non ha ancora deciso di collocare all’interno del suo “Marvel Cinematic Universe”. 

Nonostante molti film e serie tv (il secondo film di Doctor Strange, VandaWision, Marvels, il terzo nuovo Spiderman) già “strizzino l’occhio” alla prospettiva che tale “innesto” sia già avvenuto, è recente la notizia di un nuovo film sui Fantastici 4 con un inedito Pedro Pascal. 

Il “Vuoto”, episodio 5, prima serie, del telefilm Loki, rappresenta “metaforicamente” benissimo il “luogo”, burocratico/produttivo/creativo, dove i Marvel Disney ora stanno tenendo le proprietà intellettuali acquisite ma non ancora sfruttate: un non-mondo che funziona alla luce di un “multiverso omnicomprensivo”, già ampiamente sdoganato, in ragione del quale ormai “tutto è possibile”, compreso il fatto che attori diversi impersonino lo stesso personaggio in un multiverso diverso. Deadpool tutte queste cose le sa, ha visto tutti i film e conosce i retroscena produttivi, ne parla apertamente per tutto il film con zero peli sulla lingua. 

Tutto questo porta a un gioco narrativo che, proprio per il continuo rimando a storie e film del passato, sa essere sfizioso in molti passaggi, senza dimenticare che la pellicola, come da tradizione di tutti i Deadpool cinematografici, è completamente imbottita di spettacolari scene d’azione. 

Deadpool & Wolverine è decisamente il territorio ideale per un regista capace e versatile come Shawn Levy. Un regista che ha già diretto Reynolds nel divertente e “complicato” Free Guy e nel nostalgico Adam Project, nonché diretto Hugh Jackman nel molto riuscito film per ragazzi Real Steel. Un regista che soprattutto ha dato vita a quella divertentissima serie meta/storica, comica ma anche action, che è Una notte al Museo. Dei film altrettanto densi di personaggi e azione, che riescono comunque ad apparire chiari e intellegibili nel loro svolgimento grazie a un'ottima gestione dell’azione e dei tempi comici. 

Tutto questo ci porta però a una domanda…

Abbiamo un “dodicenne interiore” abbastanza “fan” di tutto questo? 


Deadpool & Wolverine è una festa e una sfilata sgargiante per quanti sono cresciuti nel mito dei cinecomics. Una occasione per “contarsi” e “applaudire malinconicamente” al passato, non dissimile dagli Expendables di Stallone/Statham se vogliamo.

Il tutto imbottito di musica ultra pop, da Madonna a Britney Spears, passando per Miley Cyrus e tanti altri gruppi melodici che forse un “confondono”, considerando l’altissimo tasso di ultraviolenza della pellicola… ma visto che è Deadpool, è tutto ok. 

A tratti un film-contenitore più che un film-contenuto:  un gioiosissimo barattolo pieno di biglie, che risulteranno più colorate, lucenti e affascinanti soprattutto a chi saprà riconoscerle, e “riconoscersi”, pensando magari a quando le aveva viste da bambino.

Tenendo fermo un punto, ossia il fatto che il film può risultare molto divertente anche per “i non addetti ai lavori”, Deadpool & Wolverine è una pellicola profondamente dall’animo antologico, che a tratti può davvero apparire criptica. Non fosse per le mille “guide alla lettura” di cui in un lampo si è riempita tutta la rete, che permetteranno, a tutti coloro che volessero farlo, di orientarsi senza che io qui debba farvi alcuna anticipazione sulla trama. Magari qualche scena particolarmente evocativa porterà lo spettatore all’idea di leggere il bellissimo fumetto da cui “è tratta” e questo non può essere che un bene, per la cultura fumettistica in genere. 

Torniamo però al punto di partenza: Deadpool & Wolverine è un film per chi, parafrasando il Pascoli, ha un “fanciullino (dodicenne)” dentro di sè. È un film pieno di allusioni sessuali in modo compiaciutamente, infantilmente divertito (quindi a conti fatti comunque abbastanza innocuo). È un film ricchissimo di splatter e smembramenti continui degni del primo Peter Jackson. È un film che parla il linguaggio nerd quasi senza ritegno, quasi fosse una lingua in codice klingon. Si può essere affascinati o allontanati da tutto questo, specie se non ci si sente più abbastanza dodicenni in piena esplosione ormonale ed emotiva. Forse, se si è troppo adulti, la visione del film, comunque consigliata, può far riemergere qualche antico brufolo pre-adolescenziale.

A tratti le parolacce sono così creative ed eccessive che sembra di riascoltare i dialoghi italiani di inizio anni '80 di pellicole come Goonies di Donner (non a caso un tizio che ha diretto Superman, il cinecomics per eccellenza), così per un attimo si torna davvero dodicenni. 

Tutti gli attori sulla scena sembrano essersi divertiti un mondo da puri dodicenni, soprattutto  alcune “glorie del passato” che sono riuscite a tornare ancora in ottima forma nel loro costume di scena. Sorridenti e cool, come da “protocollo Deadpool”. 


I combattimenti, fiore all’occhiello a cui ci ha abituato la serie fin dal suo esordio, sono sempre originali quanto ricchi di stile e assurdità. Soprattutto non hanno subito alcun tipo delle temutissime “censure/ammorbidimenti” che si paventavano nel passaggio alla produzione Disney. Si passa da scontri mortali e dai vaghi risvolti etilici all’interno di micro auto giapponesi compatte, a lotte campali contro centinaia di Deadpool che risorgono in continuazione come zombie tra autobus e città devastate. Ci sono mostri giganti che evocativamente cancellano tutto come tornado e scene in cui Wolverine deve necessariamente girare “a torso nudo”, per le fan storiche. Di più, il film vuole ricreare alcuni “confronti storici” dei fumetti, ricreare sulla scena alcune copertine famose dei volumi, giocando anche sulle “variant” delle copertine originali. La villain, interpretata dalla brava Emma Corrin, è abbastanza funzionale alla trama ma nel divertimento generale non sfigura. 

La trama in sè, ispirata sempre e solo al summenzionato episodio di Loki, è più che altro una specie di “pista di biglie”, sulla quale far correre e scontare tra loro i personaggi-biglia, le loro battute e folli acrobazie di ogni genere.

Ci si diverte, scende una lacrimuccia, gran parte del pubblico in sala potrà sentirsi magari unito come un unico felice branco, chi ha dei dubbi può andare in rete e passa la paura e magari viene la voglia di leggere un fumetto che non si conosceva. 

Non c’è niente di meglio, specie in confronto ai film supereroistici dell’ultimo periodo: la pellicola è un puntuale omaggio alla mitologia di Wolverine come di Deadpool. Casinista, sanguigna, ma con un piccolo, significativo e ricercato, tratto malinconico.

In questa calda estate, se cercate un film divertente quanto supercitazionista, sapere quindi cosa fare. Tornare dodicenni non è mai una cosa troppo brutta, se è per un paio d’ore. 

Portate in sala fazzoletti per un paio di tattiche scene che vi anticipo saranno molto commoventi.

Non dimenticate la crema anti-brufoli.

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