lunedì 3 giugno 2024

If - amici immaginari: la nostra recensione del nuovo malinconico “film con pupazzi” di John Krasinski, regista di A Quiet Place, dedicato al mondo dell’infanzia e agli amici immaginari

Siamo nell’America dei giorni nostri, in una calda estate nella città di New York. 

L’adolescente “B” (Cailey Fleming) si trova di nuovo dopo tanto tempo a vivere nell’appartamento della nonna (Fiona Shaw), situato non troppo distante dall’ospedale dove suo padre (John Krasinski) è ora ricoverato in attesa di un difficile intervento al cuore. Anche la mamma era stata in passato in quell’ospedale, ma le cose non erano finite bene. Il padre cerca di essere con lei super entusiasta e positivo, sempre ricco di sorprese colorate e pupazzetti a ogni sua visita. 

Il reparto in cui è ricoverato e pieno di luce e di infermiere gentili. Tra le corsie B incontra, anche un simpatico ragazzino orientale, di nome Benjamin (Alan Kim): un grande appassionato di draghi e racconti fantasy con cui inizia a trascorrere un po’ di tempo insieme. 

Le giornate passano, ma quando B la sera torna a casa con la metro si sente davvero “strana”, nonostante si ritenga da sempre una ragazzina molto razionale. La sua stanza è accogliente e piena dei disegni e dei giochi di quando era bambina, la nonna è affettuosa e disponibilissima e al piano terra c’è un negozietto aperto h24 pieno di dolciumi, coca cola e pile per le cuffie, ma B si sente come “sospesa”, “assente”. Le sembra sempre più di intravedere i contorni di un mondo strano e misterioso, che cerca di nascondersi dietro a ogni vicolo o tra le ombre del vecchio palazzo.

Una notte, seguendo rumori e immagini sfuggenti, B accede all’appartamento del piano superiore dello stabile, dove vive uno stravagante uomo di nome Cal (Ryan Reynolds), insieme a un'ape ballerina da cartone animato di nome “Blossom” (doppiata in italiano da Pilar Fogliati) e ad un enorme e buffo mostro peloso viola di nome “Blu” (doppiato da Ciro Priello dei The Jackal). 

L’incontro è curioso ma proficuo. Cal si occupa di aiutare i personaggi immaginari come Blu e Blossom a “ricollocarsi”, dopo che i bambini che hanno accompagnato e supportato fin dalla nascita si sono scordati di loro. Tutti i tentativi finora compiuti sono falliti e il rischio più impellente è che gli amici immaginari dimenticati da troppo tempo possano scomparire per sempre da un momento all’altro, ma il fatto che B “li veda tutti” è incredibilmente, quasi rivoluzionario. B, che non ricorda di aver mai avuto un amico immaginario, può ora aiutare concretamente Cal nel suo lavoro, nel tempo libero, tra una visita all’ospedale e l’altra. 


Presto la ragazzina fa accesso alla grande base/casa/rifugio di tutti gli amici immaginari, collocata al di sotto della giostra dei cavalli nel lunapark di Coney Island. È un luogo dove gli amici “aspettano nuovi bambini” facendo terapia di gruppo, corsi di arte figurativa, teatro, sport e “incontri curricolari”. Ci sono amici immaginari di tutti i tipi e le forme, dagli unicorni ai cubetti di ghiaccio, dalle margherite con gli occhiali a omini di marshmallow infuocati. Tutti speranzosi e disperati in egual misura sotto la guida di un saggio e morbido orsacchiotto (doppiato da Bruno Alessandro). 

B ha grandi progetti e vuole per prima cosa trovare un amico immaginario per il suo amico Benjamin, ma l’impresa sarà più dura del previsto: sembra quasi che gli amici immaginari possano legarsi solo con i bambini che li hanno “immaginati”.  

Forse, oltre a trovare nuovi amici per gli amici immaginari, la missione di B sarà anche cercare di “riconnettere” i vecchi amici: scoprendo magari “cosa è mancato” facendo poi saltare il legame tra i due. 

Riuscirà B ad aiutare i suoi nuovi amici, mentre trascorrere questa calda estate al capezzale del padre malato?


A breve distanza dall’interessante ma controverso Imaginary di Blumhouse, con il suo inquietante orsacchiotto malvagio, il bravo regista di A quiet place torna al cinema con un film visivamente colorato, strano quando malinconico, che parla di nuovo di bambini e del loro speciale rapporto con gli amici immaginari. 

Il cinema è da sempre un luogo che accoglie a piene mani tutti i tipi di amici immaginari: raccontandoceli a volte come “angeli custodi”, a volte come “alter ego (transizionali) di bambini timidi”, a volte come autentici predatori inaspettati. 

C’è stato il gentile coniglio di James Stewart del classico Harvey, degli anni ‘50, come il suo muto “epigono macabro” protagonista di Donnie Darko del 2001. C’è stato il premuroso “bambino che viveva nel pollice” del piccolo protagonista di ShiningAbbiamo avuto, come quasi/genitore improvvisato di un orfanelli, il drago invisibile di Elliot e Il drago invisibile. Abbiamo incontrato, e pianto tantissimo, per il Mr BongBong di Inside Out di Pixar. Abbiamo incontrato un’intera risma di demoni e spiriti vari che si sono finti “bonari” amici di qualche bambino troppo solo, in pellicole horror come Come Play, Z vuole giocare, Babadook

Krasinski, che oltre a dirigere scrive qui soggetto e sceneggiatura, guarda invece “da una parte diversa”: nasconde in un mondo visivo ultra colorato e quasi barocco, pieno di creature straordinarie e strampalate simili a quelle della Cartoonia di Chi ha incastrato Roger Rabbit (opere dei bravissimi maghi degli effetti speciali e dell’animazione di Framestore, capitanati da Arslan Elver), lo stesso cuore emotivo di una pellicola piccola e intima come Totoro di Hayao Miyazaki. 

Totoro è stato per il maestro dell’animazione giapponese un film molto sofferto: il racconto quasi autobiografico di come, “attraverso l’immaginazione e i suoi amici”, lui ha provato a superare il terribile periodo in cui si trovava ad attendere che la madre uscisse dall’ospedale. La fantasia diventa “arma di distrazione dal dolore”, aiutando i più piccoli a metabolizzare la durezza della vita.  

Totoro è “quasi autobiografico” anche in quanto la protagonista della storia diventa una ragazzina, perché Miyazaki racconta che sarebbe stato troppo duro per lui rivivere “di nuovo da bambino” quei momenti. C’è in Totoro un'incredibile fantasia grafica, un lussureggiate mondo agreste popolato di colori e animali quasi da favola come quelli di If

C’è al contempo sopra tutto una “nube grigia”: una pioggia gelida costante, fisica quanto e emotiva, che avvolge ogni cosa. Una pioggia nella quale però un Totoro, come amico immaginario, può comunque allungare provvisoriamente un ombrello per riparare da qualche goccia/lacrima di troppo il bambino che “sorveglia. Aiutandolo a riprendere il fiato dopo il pianto.

Krasinski come Miyazaki sembrano dirci che la fantasia e la positività aiutano, sempre, anche se “momentaneamente”. Perché ci tocca comunque vivere in un mondo reale in cui giocoforza “piove”.

Un mondo dove ogni colore al di fuori di una allegra “buca di bianconiglio” che puoi trovare a Coney Island (che è un luogo da sogno quanto da Guerrieri della Notte) può spegnersi o diventare di colpo “nebuloso”, assecondato dalla fotografia realistica di Janusz Kaminski.

Un mondo dove anche uno dei più divertenti ed eccessivi clown moderni, Ryan Reynolds, “un uomo chiamato Pikachu” (parafrasando il classico del 1970 di Elliot Silverstein con Dustin Hoffman), non può fare a meno di “contenersi”, diventare quasi riflessivo, con sfumature quasi ascetiche, a dispetto da un completo in frac eccentrico.  


Se A quiet place è un film sulla sopravvivenza del “concetto di famiglia” e sulla elaborazione del lutto al suo interno, nella forma di un horror/thriller fantascientifico, If non ci va troppo distante nella sua “ricerca (momentanea) del tempo dell’innocenza perduta”.

Pur se nel trailer sembra di trovarsi davanti ad un’opera decisamente più leggera. 

If “può essere” leggero, ma nella misura più malinconica ed estrema di un Inside Out: siamo davanti quasi a “Mr Bingbong the movie”. Grossi pupazzi buffi da cui sgorgano “lacrime psicanalitiche”. È un film bello ma impegnativo, per i più piccoli come per i più grandi.

Soprattutto per i più piccoli di oggi, che vedono magari l’animazione come fuga dal reale e disimpegno totale per via di canali tematici che per lo più li intrattengono in modo blando, senza offrire più racconti che sono anche “formativi e sociali” come lo erano negli anni '70 Heidi o Conan il ragazzo del futuro (sempre stando in zona Miyazaki).  

If è un fiaba moderna che per una volta si comporta quindi come una fiaba classica del passato, diventando opera istruttiva: ponendo domande scomode che possono non finire con “tutti vissero felici e contenti.”

Insomma, ci si deve andare “preparati e consapevoli”, se genitori, che non è esattamente un film alla Detective Pikachu o Minions

A metà intervallo i bambini potrebbero non correre vicino allo schermo felici, rimanendo magari sulla poltroncina a interrogarci, in quanto adulti, sul futuro del padre di B, sul futuro di Blu e Blossom, sul futuro di tutti…

Certo la “risposta” poi si trova, ragionando magari attivamente sul film con i bambini, anche se questo può richiedere uno sforzo extra. Kaminski con i suoi personaggi colorati aiuta a riflettere sul significato stesso del poter “vivere felici e contenti”: partendo dal fatto che dietro a ogni essere umano c’è una forza, “un amico immaginario”, che lo non mollerà mai, nonostante le mille difficoltà. Una forza che hanno tutti, anche se si trovano da solo. 

Un amico immaginario, che ci ricorda di quando siamo stati felici, che quando piove per lo meno allungherà un ombrello perché non ci bagnamo, anche se fuori da quell’ombrello le lacrime pioveranno ancora.

Insomma, prima di uscire per il cinema, preparate ombrelli e fazzoletti e un po’ di discorsi motivazionali per i più piccoli. 

John Krasinski, accompagnato da un ottimo cast di attori e uno straordinario comparto tecnico, dà vita a una fiaba malinconica colorata, intelligente quanto struggente. 

Ricchissimo in cast dei doppiatori originali in lunga inglese, che annovera Brad Pitt, Phoebe Waller-Bridge, George Clooney, Steve Carrell, Awkwafina, Emily Blunt, Matt Damon, Sam Rockwell, Blake Lively, Bradley Cooper e nel ruolo dell’orsetto il grande e recentemente scomparso Louis Gossett Jr., a cui la pellicola è dedicata. 

Le musiche di Michael Giacchino si sposano alla perfezione ai toni “opachi” dell’opera.

Visivamente la pellicola ha colori tenui, caldi e crepuscolari quanto la storia che racconta.

Il ritmo è sempre lento e avvolgente come un racconto per la buona notte, 

Krasinski dimostra ancora una volta di prediligere nelle sue opere la complessità e la ricchezza emotiva, donando If di mille sfumature, tutte da scoprire e su cui riflettere insieme al pubblico dei più piccoli.

Non è un film semplice, è invece un film bello. 

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