Hana con molta
dedizione e impegno frequenta l'università di Tokyo. Hana in
giapponese significa fiore. Per mantenersi agli studi lavora e
risparmia i centesimi come la studentessa universitaria triste e
solitaria nella stanzetta umida cantata da Cristicchi. Un giorno a una lezione incontra un ragazzo misterioso, uno che vorrebbe studiare
ma non ha i soldi per farlo. Lui lavora come autotrasportatore e
sembra perennemente in fuga da qualcosa. Anche quando Hana gli rivela
i suoi sentimenti lui da principio scappa, teme qualcosa. Fino a che decide di rivelare ad Hana il suo segreto. É un uomo lupo,
l'ultimo della sua specie. È sceso dai monti per vivere come un uomo, ma non riesce in pieno a vincere il richiamo della natura, i suoi
istinti, fallendo ogni tipo di integrazione nella società. Hana lo
ama così come è, nonostante tutto e contro tutti. Decide che con
lui creerà una famiglia. Come sboccia l'amore anche una piccola vita
inizia a scalciare nella pancia di Hana. È Yuki, il cui nome in
giapponese significa neve. L'uomo lupo si prende cura di loro,
riversa tutto l'affetto possibile alla sua famiglia. Si occupa anche
delle provviste a volte tramutandosi in lupo per procurare della
cacciagione, a volte semplicemente recandosi a fare la spesa. Hana è
felice e, nonostante gli sforzi per tirare avanti, il piccolo
appartamento è pieno di calore. Mentre Yuki inizia a crescere, nella
pancia di Hana inizia a muoversi anche Ame (in giapponese: pioggia). Il
piccolo nasce, la famiglia si allarga. Poi un giorno di pioggia
l'uomo lupo scompare. Ha lasciato sul ciglio di casa la borsa della
spesa e sembra gli sia caduto dalle tasche il portafoglio. Di lì a
poco, con i bambini in spalla e gli occhi pieni di lacrime, Hana vede
ripescare dal fiume il cadavere di un grosso lupo.
I bambini iniziano
a crescere. Non riescono a controllare le loro trasformazioni e
passano continuamente dall'umano al lupo. La madre ha paura che li
scoprano. I vicini sentono continui guaiti e sicuri che la famigliola
nasconda degli animali, mette Hana e i figli alla porta. È qui che
la ragazza raccoglie tutta la forza del mondo, non smette mai di
sorridere davanti alle avversità e si reinventa una vita. Trova una
casa isolata in montagna, dove i bambini possono correre e giocare
felici senza che qualche vicino li noti, si impegna nella
coltivazione di un piccolo appezzamento e trova lavoro presso
l'ufficio forestale. Ad aiutarla, silenziosamente ma con molto
affetto, sono le persone che vivono nelle vicinanze, una piccola
comunità che si aiuta e sostiene a vicenda. Ora Ame e Yuki sono
liberi di crescere, diventare grandi, seguire le loro inclinazioni.
Dovranno però fare i conti con la maledizione del lupo e accettare o
meno la loro natura animale.
Nuovo film per
Mamoru Hosoda, regista dei premiati e amati “La ragazza che saltava
il tempo” e “Summer Wars” e uno dei nomi più interessanti del
panorama attuale. Ne “La ragazza che saltava il tempo” Hosoda
costruiva una splendida parabola sull'adolescenza, ragionando sul
modo in cui il tempo appaia infinito quando si è giovani e non si
devono fare scelte. Il film appare da subito quale una commedia
sentimentale leggera, giusto con uno spruzzo di fantasy, ma c'è di
più, riesce a complicarsi, farsi riflessione e pure commuovere. In
“Summer Wars” rapportava il Giappone ad un'unica grande famiglia,
rappresentando quanto possano essere solidi e forti i legami
affettivi quando si basano sull'amore e rispetto reciproco. Il
regista gestisce una moltitudine di personaggi, luoghi e situazioni
come un compassato direttore d'orchestra e nonostante qualche
forzatura (odio il cugino poliziotto) allestisce una commedia
stupenda che sa essere anche ricca di scene d'azione.
In “Wolf Children” Hosoda descrive l'amore di una madre per i suoi figli, un sentimento universale quanto poco utilizzato come tematica. La gioia e la paura di crescerli, educarli, accompagnarli alla vita adulta e infine salutarli. Genitori e figli che crescono insieme nel mondo grazie al reciproco affetto, come l'acqua alimenta i fiori (i nomi non sono messi a caso), persone che cambiano, maturano, fanno scelte. Ne esce quello che è senza mezzi termini un capolavoro. Un film magistrale che vive della splendida caratterizzazione dei personaggi (sempre opera di Yoshiyuki – Evangelion – Sadamoto, come tutte le opere di Hosoda), del magnifico lavoro degli interpreti, delle splendide musiche, dei bellissimi paesaggi, di una trama che riesce a essere fresca, spiritosa e sentimentale, sfuggente da facili patetismi e in grado di colpire direttamente al cuore. Un film pressoché perfetto, frutto di una completa maturazione autorale, che si pone sullo stesso livello del miglior Miyazaki, quello in grado di rappresentare, in Totoro come in Porco Rosso, una realtà fantastica quanto drammaticamente ancorata ai problemi della vita di tutti i giorni. Vorrei sparare qualche cattiveria, ma davvero non ce la faccio. In Wolf Children tutto è perfettamente funzionale, non c'è una sola scena sprecata o forzata, non c'è un buco di trama, una qualsiasi nota stonata. Mi aspettavo un eccesso di facile sentimentalismo e invece non l'ho trovato e la lezione del film, di cercare di affrontare la vita con il sorriso, anche se gli altri vi diranno: “Perché sorridete come dei deficienti” è quanto di più positivo e necessario vorremmo sentire ogni giorno.
In “Wolf Children” Hosoda descrive l'amore di una madre per i suoi figli, un sentimento universale quanto poco utilizzato come tematica. La gioia e la paura di crescerli, educarli, accompagnarli alla vita adulta e infine salutarli. Genitori e figli che crescono insieme nel mondo grazie al reciproco affetto, come l'acqua alimenta i fiori (i nomi non sono messi a caso), persone che cambiano, maturano, fanno scelte. Ne esce quello che è senza mezzi termini un capolavoro. Un film magistrale che vive della splendida caratterizzazione dei personaggi (sempre opera di Yoshiyuki – Evangelion – Sadamoto, come tutte le opere di Hosoda), del magnifico lavoro degli interpreti, delle splendide musiche, dei bellissimi paesaggi, di una trama che riesce a essere fresca, spiritosa e sentimentale, sfuggente da facili patetismi e in grado di colpire direttamente al cuore. Un film pressoché perfetto, frutto di una completa maturazione autorale, che si pone sullo stesso livello del miglior Miyazaki, quello in grado di rappresentare, in Totoro come in Porco Rosso, una realtà fantastica quanto drammaticamente ancorata ai problemi della vita di tutti i giorni. Vorrei sparare qualche cattiveria, ma davvero non ce la faccio. In Wolf Children tutto è perfettamente funzionale, non c'è una sola scena sprecata o forzata, non c'è un buco di trama, una qualsiasi nota stonata. Mi aspettavo un eccesso di facile sentimentalismo e invece non l'ho trovato e la lezione del film, di cercare di affrontare la vita con il sorriso, anche se gli altri vi diranno: “Perché sorridete come dei deficienti” è quanto di più positivo e necessario vorremmo sentire ogni giorno.
Potrei parlare
ancora, dilungarmi sui mille dettagli che arricchiscono e rendono
reali gli ambienti, parlarvi di quanto sia viva e affascinante la
montagna su cui è ambientata la seconda parte della pellicola,
raccontarvi della spontaneità con la quale Hosoda riesce a
descrivere i rapporti tra i personaggi. Ma sarebbero parole che non
renderebbero giustizia al lavoro di questo grande cineasta e magari
vi priverebbero della gioia di scoprire da voi questi dettagli.
Guardate senza
alcuna remore questo lungometraggio, ne vale la pena. E non vi
spaventate se una lacrimuccia magari qui e là vi cadrà. È questo
il grande cinema, è questa l'animazione che vorremmo sempre vedere.
Dopo il bellissimo “Una Lettera per Momo”, Dynit confeziona un
prodotto di pari qualità e livello, curatissimo e ricco di extra.
Consigliato a tutti. Anche a chi non ama le storie sentimentali.
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