di Uwe Boll, perché averci le palle girate è un diritto!
(Attenzione! Il
film che in seguito viene descritto è un film assolutamente per
adulti, la cui visione da parte di minori e persone impressionabili è
sconsigliata in toto in ragione della rappresentazione di scene molto
cruente, dialoghi non adatti e una morale finale del tutto
agghiacciante. Ad ogni modo chiunque voglia avvicinarsi alla visione
deve essere carico dell'adeguato spirito critico, ironia e non
privarsi della presenza di un adulto ugualmente raziocinante con cui
scambiare due parole nel post visione... e magari due birre)
Sì può parlare
bene di Uwe Boll? Ammetto che è un argomento peso e quindi ho
bisogno di tutto l'aiuto possibile. Motivo per cui passo la parola al
migliore insegnante del mondo:
Ora immagino vi
sentiate di mente più aperta, degni di accogliere con gioia le
stronzate pretestuose che sto per propinarvi (acc... forse questa
frase non la dovevo scrivere...)!
Partiamo da
principio!
C'era una volta
e c'è tuttora un regista davvero terrificante. Un tizio tedesco
amante dell'orrido con una visione del cinema così personale, ma
così personale, che riesce sempre a scontentare il pubblico. Provoca
così sdegno al punto da ricevere in cambio un sacco di sonore
pernacchie, da tutti. E la cosa è imbarazzante se ci pensate:
pernacchie dai vicini di casa, alla posta, in coda per il colorado
boat... mi sono spiegato a dovere credo. Pochi mezzi tecnici a
disposizione, produttori-padroni distratti o disinteressati (immagino
sempre i produttori di Boll come magnati dell'esportazione di Tonno
nella Finlandia del nord), attoracci economici o decaduti o
svogliati, sceneggiature di base imbarazzanti involontariamente
esilaranti. Ostacoli che in genere non sono insormontabili se sei
un gigante della macchina da presa come John Carpenter (che
riscriverebbe bene l'aborto, addestrerebbe gli attori-cani con
frustate, metterebbe ritmo forsennato anche a una partita di
sudoku, creerebbe personalmente gli effetti speciali con Photoshop e
scriverebbe personalmente la colonna sonora senza nemmeno chiederne
la fatturazione extra di un dollaro), ma che diventano un cospicuo
ostacolo se non sei un top gun. E Uwe Boll, diciamolo, non è un top
gun e grossi “aiuti produttivi” non ne ha mai avuti.
Sicché tra
filmacci tratti da videogiochi e filmacci horror pesantemente
influenzati da videogiochi (queste le “due” categorie da lui
trattate) alle pernacchie si sono accompagnati magri guadagni e
tanto, tanto rancore. Ma visto che costa poco (e certi filmacci non
li girerebbe nessun altro e due lire di base si tirano sempre su) i
produttori di tonni lo vogliono e rivogliono e lo rivogliono ancora
in mille occasioni (tutte occasioni di infimo gusto) cosicché il
nostro in cuor suo, pur sommerso in un esponenziale mare di
pernacchie, crede tutto sommato di essere bravo. Ci crede così
tanto che quando arrivano le critiche non le capisce. Siccome, in
cuor suo, ritiene di fare solo film perfetti amati dai produttori, le
offese devono probabilmente discendere da un'innata
antipatia-invidia verso di lui. Boll, non scherzo, ritiene che se dei
brutti nerdacci insultano i suoi lavori cinematografici, questi di
fatto stiano di fatto insultando lui e l'onore di sua madre. E se
l'insulto è personale, fila benissimo che la risposta debba essere
altrettanto personale, motivo per cui Boll decide di sfidare in un
incontro di pugilato alcuni dei suoi più perfidi detrattori.
è come se Beppe
Fiorello chiedesse ad Aldo Grasso una rivincita a tennis nel caso
quest'ultimo gli abbia stroncato il suo consueto palloso sceneggiato
su rai 1 (dico Beppe Fiorello in quanto esempio calzante, non avendo
lo stesso mai fatto un singolo film decente in tutta la sua vita,
giudizio mio personale avvalorato dalla legge sulla libertà di
opinione... e se vuole può sfidarmi a freccette!!). Credo che la
logica perversa, di classico stampo germanico-superomistico, sia:
“Non mi puoi criticare se non sei migliore di me in tutte le cose
che faccio, quindi non puoi dirmi che giro male un film se non mi
batti in tutte le discipline in cui eccello, compresa gara di rutti”.
Certo, dalla stazza i critici pensavano “Boll mena e non rutta”
ma si considerava :“è brizzolato, cicciottino e vuoi mettere
l'orgasmo di dare un pugno a chi ti sta sul cazzo?”. Alcuni critici
abboccano al contest e come finisce il tutto? Bagno di sangue con il
mastino germanico trionfante. E non è per la preparazione, che
comunque c'è, non è per la risibile abilità degli sfidanti, che
comunque pure lei (risibile) c'è. La vittoria “bollina” si coniuga
soprattutto all'atavico, mostruoso sentimento di odio verso il mondo
che Boll cova nel suo profondo. Una scimmia che gli pulsa nel
cervello urlando “uccidi” e che per la prima volta gli fa vedere
chiaramente cosa può fare nel suo percorso artistico. Il nostro dice
a se stesso: “se è odio quello che mi viene riversato, godo nel
rimandarlo indietro e nell'abbeverarmene io stesso diventandone il
cantore” (mi immagino una frase simile detta con sottofondo un pezzo
dei Rammstein).
Appagato del sangue dei perdenti, il nostro ritorna
al lavoro e scrive sceneggiature ruvide, essenziali, cattive (e pure
logiche e funzionali, per la prima volta!) incidendone le parole
sulle pareti di casa facendo uso di un coltello alla Rambo e
spezzando le dita a chiunque cerchi di mettere mano al suo lavoro.
Gira sporco come nei peggiori snuff movie, fa ampio uso di telecamera
a mano e incredibilmente riesce a fare queste cose bene! Decide di
girare prevalentemente film estremi e nerissimi +17 per il mercato
tedesco, restrizione di censura che va ben oltre al “nostro” VM18
e che in sostanza ricomprende tra il pubblico adatto“assassini
seriali, terroristi e agenti della Folletto”. Film che nessuno
vorrebbe importare ma che sono forti, disturbanti, sono fighi e per
il tam tam mediatico tutti i produttori sono costretti a importare
per non regalare alla rete-pirateria-importazione un fetta della
torta. Nascono il nerissimo Seed (ne riparleremo, è un film sulla
tortura e sulla pena di morte per i cui ricavati Boll ha offerto una
percentuale alla PETA per la sua lotta contro le sevizie agli
animali... usare la violenza contro la violenza... machiavellico...),
l'ingenuo-cattivissimo-videogiocoso Postal e la più estrema e
urtante sintesi nichilista dei due, il film più stronzo, brutto e
cattivo del creato, il disturbante capolavoro sull'odio esistenziale
conosciuto come "Rampage" da poco, solo 4 anni di ritardo, uscito anche
da noi nei circuito home video.
Poi l'ispirazione
si è disciolta, il successo ha rimesso nella gabbia la scimmia, Boll
è tornato a fare porcherie più o meno deprimenti e pure un
po' presuntuosette, tra le quali le insalvabili "Darfur" e "Aushwitz",
brutti snuff-movie di ambientazione pseudo-storica di una gratuità
oscena (pur voluta ma che non appoggio) che qualche buono spunto non
salva dal cattivissimo gusto (cacchio, a Darfur ho preferito "A
Serbian Movie"!!!). Tornerà a fare qualcosa di significativo o il
nostro continuerà nel percorso si assoluta macelleria? Forse un
regista come Boll è riuscito comunque a essere per poco un buon
regista ed è questo che conta. Magari con il 2014 e Seed 2 si
tornerà a vedere qualcosa di bello.
Ma Chellè 'sto
Rampage?
Parenti-genitori-morosa-amici-osteopata
a chiederti che farai domani della tua vita, lavoro che non c'è o se
c'è è merda, traffico costante scaturito da operai fancazzisti di
rotonde mai ultimate e bastardi che passano in corsia di sorpasso per
poi imbottigliare tutti al primo restringimento di carreggiata,
pioggia battente e ghiaccio cane nelle tre ore di ferie che hai da
qui a un anno, commessi-farmacisti-postini-baristi-impiegati stronzi
che ti trattano come un criminale se non hai 20 centesimi, donne che
non te la danno (tradendo un loro preciso obbligo morale! In genere
non vale il contrario, l'uomo anche se stanco si “sacrifica”),
macchinette erogatrici di soldi, bibite o biglietti che non
funzionano o sono vuote o comunque ti fottono la moneta, la birra per
dimenticare che è finita o trovi calda a un passo dal frigo, ma che
ti ricorda di avere una panza da birra. Routine.
Come insegna
questa celeberrima gag di Aldo Giovanni e Giacomo, alle volte
dobbiamo essere liberi, almeno metaforicamente, di dire al mondo
quello che effettivamente pensiamo di lui:
Come insegna
Troisi la gente deve smettere di usare il prossimo come capro
espiatorio dei suoi problemi, solo perché il prossimo è un po' più
sfigato e male inquadrato nei confronti della società:
In "Falling
Down" (anno del signore 1993, una delle massime espressioni
cinematografiche dell'ingiustamente bistrattato Joel Schumacher, che
Hollywood ha in pratica vergognosamente messo in pre pensionamento
dopo Number 23 del 2007... non parlatemi di Trespass...) aka "Un Giorno
di Ordinaria Follia" l'uomo con la targa dell'auto personalizzata
D-Fens (Michael Douglas) arriva al culmine dopo la peggiore giornata
della sua vita e una prolungata sosta in autostrada. Il nostro eroe
quindi decide che è tempo di sbroccare, di “andargliele a dire”,
a tutti, magari armato, su quanto gli abbiano rotto le palle:
Basta quindi!
Basta “a tutto”! Quanto sono liberatorii questi film! Nessuno
uscirà dalla sala brandendo un mitra, ma tutti avranno in dote quel
sorrisetto cattivo di aver sognato per un istante di fare una
marachella. Il film di D-Fens riesce, diventa un piccolo classico ma
lascia l'amaro in bocca per i limiti hollywoodiani nei quali
inevitabilmente è imbrigliato. Sopra la follia vige e vigila la
morale a rimettere insieme i cocci, a smorzare la follia. Il sistema
(Savianamente parlando ma anche no) si auto-protegge e isola le
schegge impazzite, il “volemose bene” incide su marmo di Carrara
il (purtroppo) prevedibile epilogo.
Se Schumacher fa
di necessità virtù e smorza i toni in vista di dirigere il
tranquillizzante e Grishmaniano "Il Cliente" per poi approdare ai suoi
controversi Batman da revival anni settanta, Uwe Boll ai tempi di "Rampage" paga ancora il disastro produttivo di "In the name of the
King" (film peraltro non bruttissimo con Jason Statham, ma indegno di
assomigliare a una puntata di Hercules) e della pioggia costante di
critiche che ovviamente non smette dopo l'assurda grottesca vittoria
pugilistica contro i critici.
Tuttavia scopre anche di essere amato
dalla nicchia dei festival, dove la gente accorre ed applaude il suo "Seed" e (un po' meno) il suo "Postal". Questo lo convince a perpetrare la
sua ideologica visione cinematografica senza limiti, sa che qualcuno
che lo ama c'è, e scrive la sua pagina più incazzata di sempre, il
suo personale "Vaffanculo” di Masini. E lo fa alla grande perché non
sarà un grande drammaturgo (e infatti non lo è), non sarà un
genio (ah ah ah ah), ma un uomo frustrato (sì, cazzo!!) lo è eccome
e ha tutta la grinta (ostinazione-pazzia) e consapevolezza (ottusità)
per esporre al massimo e con genuinità questo suo modo si sentirsi
fino a elevarlo ad arte. Questo non fa certo di lui un autore a 360
gradi, ma se siete incazzati con il mondo troverete in questa
pellicola tutto ciò che nei vostri sogni più malati almeno una
volta avete immaginato. Ma il film non è solo questo, ed è qui che
l'opera dimostra di essere di maggiore peso delle sue singole parti.
Sinossi.
Bill (Brendan Fletcher, che avrete visto in tv più o meno ovunque
ma che io ricordo con affetto in Freddy vs Jason, era tipo l'unico
attore maschio, pertanto l'unico di cui non si vedessero le tette) è
un ragazzo normale, che svolge un lavoro normale in un'autorimessa e
vive in una famiglia normale. Certo gli fa schifo la società, che lo
tratta come un perdente, che lo emargina dalla gente che conta, che
lo attacca e lo giudica senza che lui abbia fatto effettivamente mai
nulla di male. Per questo si sfoga con gli amici, tra una birra e
l'altra, sognando felice ipotetici complotti per rovesciare il
sistema e vivere sereni, ma la cosa lì finisce. Poi arriva
l'ultimatum da parte dei genitori: “Sei grandicello, hai il tuo
lavoro, è tempo che trovi una tua vita e ti faccia una casa tua, noi
comunque una mano te la diamo, ne parliamo con calma, ti diamo tutto
il tempo che vuoi”.
Non esattamente quindi un “questa è la porta,
vaffanculo parassita”, ma una soluzione accettabile, politically
correct, lungo termine. Ed è lì che Bill inizia a sbroccare, anche
se sintomi preoccupanti si erano già visti a guardar bene. Grazie
alle sue doti di saldatore si assembla una corazza in kevlar che
farebbe invidia a Batman. Grazie ad Amazon e al fatto di trovarsi in
America si fa arrivare a casa una vagonata di armi pesanti. Con
impegno costante si allena duramente fino a scolpirsi muscolo dopo
muscolo. Poi arriva il giorno. Armato e corazzato Bill farà un giro
nella sua amata cittadina. E ucciderà qualsiasi creatura bipede gli
attraversi la strada.
Pulire il mondo.
Esattamente come avveniva nel videogioco Rampage, in cui dei mostri
radevano al suolo la città e l'azione non si fermava se non dopo che
l'intera strage era compiuta.
Cinico, bastardo,
crudele quanto perfettamente oliato, ritmato, funzionale e con un
finale a dir poco inquietante e in grado di offrire una lettura
prima inimmaginabile di tutti gli eventi. Boll non a caso esperto di
trasposizioni da videogame (dopo 16 tentativi qualcosa per inerzia si
impara sempre) si dimostra ferrato nel ricreare una frenesia da
sparatutto che decolla nelle scene action più concitate. Veniamo
così travolti direttamente sul campo di battaglia grazie a una
frenetica guerrilla cam a mano supportata da una fotografia,
figosamente dai colori esautorati viranti gun metal, che smorza i
colori in luogo di definiti contorni pece e neri tenebra.
Il mood
disturbato più adatto per seguire le gesta di Bill il carnefice,
unico avatar con cui lo spettatore ha il privilegio-schifo di
non-immedesimarsi. Tale tecnicismo grafico da luogo altresì a uno
strano effetto-michael-bay-di-ritorno che permette con plastico
distacco di innalzare una qualche barriera emotiva tra noi e lui, che
ci appare spesso come un animale ingabbiato nelle telecamere di un
documentario del national geographic. Un occhio osservatore
freddo-asettico-estraneo che rimanda al documentarismo malato del
capolavoro "Henry pioggia di sangue". Non cadete nella tentazione
scatologica di ripescare il massacro alla Columbine o le suggestioni
visive di Elephant di Gus Van Sant. Boll conosce bene la materia ma
ci trolla gioiosamente sopra (e direi quasi da bastardo) in ragione
di un finale che eleva il film al di sopra del
trito-rassicurante-perbenista disagio sociale e delle critiche ai
videogame malati proprie di molte trasmissioni pomeridiane, verso le
quali eleva “bonariamente” il dito medio.
La crudeltà è qui ben insita-residente nelle
persone e non negli oggetti-cattivi-consumismo-nazi-capitalistici.
Vengono così smascherate-distorte-inchiappettate ipocrisie facili
volte a nascondere il male dietro la semplice stupidità-ingenuità.
Gli uomini sono cattivi indipendentemente se possono o meno accedere
a delle armi da fuoco (anche se limitarne l'uso non è che faccia
male, bene inteso!). Quello che più sorprende del film, promuovendolo
a pieni voti e spalancandogli la porta dei cult, è proprio come si
renda veicolo di questo messaggio attraverso la grande abilità con
cui Boll gestisce l'intreccio narrativo. Se essere odiati, presi a
calci da tutti e sputtanati costantemente porta a diventare buoni
registi, dobbiamo quasi ammettere che tante scudisciate sui denti
abbiano fatto bene a Boll. Il regista tedesco è di fatto riuscito
qui a rielaborare alla grande il suo dramma interiore di
regista-monnezza perennemente preso in giro per incapacità,
sferrando finalmente e compiutamente un pungo autoriale d'odio verso
il mondo, sentito, sincero e credibile che il mondo stesso è grato
di ricevere in faccia. Mai Boll è stato così serio e sul pezzo in
una operazione di critica sociale alla
massificazione-mercificazione-disinformazione della cultura
americana, "Rampage" per Boll equivale a "Essi Vivono" per Carpenter
(sempre con le dovute proporzioni). E oltre ai meriti della
scrittura e al dato tecnico, di standard molto più elevato (leggasi
“film visivamente più che buono”) a quello cui ci ha abituato in
precedenza il regista tedesco (leggasi: “ciofeca”), abbiamo anche
un ottimo interprete in Brendan Fletcher, non fosse che questa è la
classica pellicola che bolla l'attore per sempre in ragione del suo
coinvolgimento e un ruolo tanto ipocrita, stronzo e pomposo di certo
non lo aiuterà a trovare nuove fan. Difficilmente vedremo Fletcher
protagonista in una pellicola Disney. Domani potremo serenamente
tornare a parlare di quanto faccia merda Uwe Boll, di quanto sia
fascista, misogino, puerile, superficiale, arrogante, tronfio e inutile. Domani magari torneremo a raccogliere fondi (già una prima
petizione è stata fatta, pazzasco!) per assicurare a Boll una cifra
per la quale lui giuri di non mettersi più dietro una macchina da
presa. Domani rideremo ancora ad equivoci come quello che riguarda il
coinvolgimento di Boll nel film di Metal Gear, al quale è seguita la
subitanea secca smentita di Hideo Kojima: “A lui il mio videogioco
non lo darò mai!”. Domani torneremo a irridere il pagliaccio. Però
ha fatto "Rampage" e "Seed". Pellicole delle quali qualcuno con un po' di
onestà intellettuale non può negare l'esistenza nonché il valore.
Forse anche solo un valore derivativo (ossia quello che i critici
leggono di un'opera quando manco l'autore sapeva di volerci leggere
qualcosa) sono pellicole che si ricordano e si ricorderanno.
Barbara D'Urso, puppamelo! |
Talk0
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