Gep Gambarella
(Tony Servillo) è autore di un grande libro d'esordio, “L'apparato
umano”. Da allora non ha più prodotto nulla dello stesso livello e
si è per lo più limitato a vivacchiare sulle terrazze romane
insieme alla creme della creme degli intellettuali. Festaiolo per
passione, nutre una profonda inedia per ogni cosa. Vive solo, con la
domestica a fargli da balia, non ha veri amici o, almeno, lui non
riesce a vederli. Non prova più nulla per nulla, si limita a
esistere trasportato da terrazzo a terrazzo, di festa in festa dal
chiassoso corteo di artisti falliti (tra cui Serena Grandi), critici
incattiviti, anime perse in cerca di qualcuno che le ascolti, che gli
spieghi perché stanno al mondo (Carlo Verdone) con cui è solito
ritrovarsi. Poi qualcosa cambia. Per scappare dalle grinfie di una
bella nobildonna che insiste per fargli vedere le sue foto di nudo
postate su facebook, Gep torna a turbinare tra la povere della
capitale, tra i vicolacci che frequentava quando ancora non era
nessuno, tra i postriboli. È qui che incontra di nuovo un vecchio
amico, che gli affida la figlia, dal cuore buono ma dall'animo da
zoccola (Sabrina Ferilli), perché almeno provi a trovarle marito, a
metterla sulla buona strada se non su quella dorata. E così Gep
accompagnato da questa nuova presenza nella sua vita, pur eccessiva e
barocca, ricomincia novello Cicero per l'estranea un poco a vivere,
a riprovare il piacere, prima vero poi solo estetico che lo ha spinto
a venire a Roma in cerca della Grande Bellezza. Durante una festa
incontra anche il custode di chiavi (Giorgio Pasotti), l'uomo cui,
per fiducia, le nobildonne romane assegnano le chiavi delle proprie
abitazioni, mostre private di quadri e sculture, con lui parte per un
viaggio notturno insieme alla sua compagna fuori-posto, che per
l'occasione indossa un vestito completamente trasparente. Nell'arco
di una notte è di nuovo vivo o quasi, è in attesa di andare a
vedere un mostro marino, il relitto della Concordia, a qualcosa di
triste subito blocca l'entusiasmo. Il mostro marino andrà a vederlo
il giorno dopo.
Surreale, estremo,
stupendo. Sorrentino insieme al suo attore prediletto, lo
straordinario Tony Servillo, già diretto ne Le conseguenze dell'amore
e Il Divo, omaggia Roma e la romanità, così come fece Fellini ne La
Dolce Vita. Omaggio e sberleffo. Laddove alla bellezza plastica di
statue millenarie, all'agognato silenzio delle prime ore del giorno
in cui solo si ode lo scrosciare delle acque delle fontane, alterna la
più cafona ed esposta normalità-mostruosità umana. Così il
barbone della prima scena “sporca” con la sua presenza la
algida-perfetta fotografia della fontana. Così il coro di monache
perfettamente accordato-accorato cede i passo ai trenini serali della
gang di Gambarella, con il vocalist che redarguisce “a stronzi,
stanotte nun ve faccio annà accasa, a senzatetto!!” in un tripudio
di poppe esposte nani e ballerine. Poi il film evolve, dall'estetica
all'etica si direbbe. Gep tenta di reinterpretare My Fair Lady ma la
vita è brutta, non rimane immortalmente perfetta come le statue di
Roma, così il personaggio turbina su se stesso, va alla ricerca
delle sue radici, alla riscoperta di quell'apparato umano che tanto
gli era facile narrare quando era giovane e ora appare sempre più
lontano e incomprensibile.
Uscito in poche sale, La Grande Bellezza è
il film italiano più bello dell'anno, un atto d'amore verso il
cinema e i suoi spettatori guidati nella riscoperta delle cose belle
della vita, un monito a una società che ha perso per strada i
valori e che viene messa all'indice, un puzzle su cosa sia veramente
la bellezza. Rimane sotto la pelle la scena della bambina che dipinge
con le mani pucciate direttamente nella vernice, una scena che appare
da principio brutale, una ingiusta imposizione da parte di genitori
senza scrupoli che lucrano sulle capoacità dei pargoli, diventa con
il tempo una scena onirica, quasi magica. Esattamente come la Dolce
Vita, non vi è una trama quanto un canovaccio di massima, la
giustificazione per passare da un quadro all'altro, presentare i
tanti volti della vera protagonista della pellicola, Roma, con alcune
delle sue molte facce. L'Italia tutta, in senso lato. Tuttavia gli
attori sono straordinari e trova facile terreno il coinvolgimento
emotivo nei loro confronti. Se da Servillo è normale aspettarsi
tanto e l'attore non delude mai, davvero una scoperta Sabrina
Ferilli, qui nel suo ruolo e nella recitazione migliore di sempre.
Molto bravo anche Verdone, in una dolorante e umanissima
interpretazione, così come tutti i molti attori coinvolti nel
progetto. Vi consiglio vivamente di vederlo, se vi capita. Talk0
Bellissima recensione!Sono d'accordissimo con te, è un film meraviglioso!E' sicuramente di non immediata fruizione(a giudicare dal numero di persone che ho visto alzarsi e andarsene via dal cinema nel bel mezzo della proiezione), soprattutto per coloro che sono abituati ad andare al cinema per vedere trame piene di fatti e di colpi di scena, ma questo è un film ben diverso, il cui lirismo non può essere confuso con "vuoto di contenuti" o "presunzione" come ho sentito dire ad alcuni! Servillo riesce a farci penetrare in quell'orrore che stride con la bellezza di una città che sembra senza tempo,riesce a farci sentire la miseria di quei personaggi,lo squallore, la tristezza!Io ho sempre amato Sorrentino,ma la scelta di alcuni attori, come la Ferilli, mi aveva lasciata un po' perplessa, quando ho visto il film è ho potuto appurare che la Ferilli era perfetta nel suo ruolo, e persino commovente, mi sono dovuta ricredere! Tutto perfetto, meraviglioso :)
RispondiEliminaCaspita, non riesco ad immaginare gente che si alza ed esce dalla sala mentre sta vedendo un film del genere!Ammetto di averlo visto in un cinema che è solito dedicare almeno una sala ai film d'autore, con una platea piuttosto silenziosa, ma non mi è sembrato nè un film arrogante nè un criptico-statico dogma norvegese...Fossero tutti così i film (e gli interpreti)del cinema italiano!Probabilmente c'è ancora un po'di diffidenza per il prodotto made in Italy che va al di là del drammatico mucciniano o del comico (più o meno "leggero"). il pubblico teme la mattonata dietro l'angolo.è un peccato Talk0
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